mercoledì 15 dicembre 2010

"Con Internet Wikileaks ha scardinato il giornalismo" - Intervista con John Pilger

LONDRA - «Wikileaks sta facendo quello che i giornalisti dovrebbero fare e non stanno facendo. Per questo c'è così tanta invidia». John Pilger, il 71enne decano del giornalismo investigativo britannico, anche lui di origini australiane come Julian Assange, celebre per i suoi documentari sulla guerra in Vietnam e in Cambogia, era ieri nell'anticamera della Westminster Magistrates Court assieme allo scrittore Tariq Ali, e al regista Ken Loach. Tutti venuti a dare sostegno al fondatore di Wikileaks. Per Pilger, che ha festeggiato la notizia del rilascio su cauzione di Assange, Wikileaks «sta cambiando la faccia del giornalismo investigativo. Tutti i giornalisti dovrebbero mostrare solidarietà verso Assange e i suoi collaboratori. Invece si avverte soprattutto il fastidio, dato che molte istituzioni del giornalismo si vedono superare da un gruppo di ragazzi con un sito Internet».

Con l'arresto di Julian Assange si sta aprendo nuovamente il dibattito sulla libertà di informazione. Gli Stati uniti che non vogliono fare la figura dei censori sostengono che Assange non è un giornalista. Lei come giornalista che cosa ne pensa?

Julian Assange sicuramente è un giornalista, come lui stesso mi ha detto. Del resto anche il suo titolo ufficiale è editor-in-chief, o capo redattore di Wikileaks. Poi chi è che decide chi è giornalista o no: il governo Usa? Stando a sentire i portavoce del governo statunitense né io né voi giornalisti de il manifesto verremmo considerati giornalisti, perché abbiamo una «linea politica». Come se i giornalisti mainstream o quelli di destra non avessero una linea politica.

Lei negli ultimi decenni è stato uno dei pionieri del giornalismo investigativo, prima come inviato speciale per il Daily Mirror e poi per la televisione. Qual è la vera novità del giornalismo investigativo via internet?


Prima di tutto la velocità. Wikileaks sta facendo in pochi giorni rivelazioni eclatanti sul funzionamento della diplomazia e dell'apparato militare statunitense che in passato avrebbero richiesto mesi se non anni di lavoro. E ha introdotto un modello interessante in cui i giornalisti diventano «facilitatori» per la diffusione di informazioni rivelate dai whistleblowers (letteralmente i fischiatori, una figura codificata nel mondo anglosassone). Persone che lavorano per lo stato e rendono noti segreti scottanti perché pensano sia giusto che il pubblico venga a sapere. Con o senza internet, non si fa giornalismo investigativo senza questi whistleblowers. Ed è importante che anche loro vengano protetti.

Nonostante l'importanza delle informazioni pubblicate da Wikileaks sembra esserci poca solidarietà da parte dei suoi colleghi giornalisti.


Il fatto è che Wikileaks sta mettendo in imbarazzo i giornalisti tradizionali che negli ultimi anni si sono abituati a fare gli stenografi del potere. È un vero e proprio choc per tante istituzioni giornalistiche come il New York Times, o il Washington Post, ma anche per tanti giornalisti del Guardian, illusi che il loro ruolo fosse insostituibile. Per questo nella stampa serpeggia invidia e risentimento verso Assange. Ma invece di arrabbiarsi dovrebbero cogliere quello che sta succedendo come un invito a tornare a svelare quello che i governi vorrebbero nascondere ai cittadini.

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