mercoledì 9 marzo 2011

Gente di Dublino, le vittime della crisi

Dopo lo scoppio della bolla immobiliare e la crisi dei mutui, la periferia della capitale irlandese è piena di case appena costruite e abbandonate. E di architetti senza tetto costretti a rivolgersi alla mensa dei poveri. Paradossi del neoliberismo al collasso in un paese europeo a rischio bancarotta. Viaggio tra la «middle class homelessness»

«Sono 8 mesi che sono senza una sistemazione. Facevo l'architetto in uno studio qui a Dublino. E vivevo con la mia ragazza a Ranelagh. Purtroppo quando è cominciata la crisi nel settore costruzioni mi hanno licenziato assieme a diversi colleghi. E nel frattempo è finita la relazione con la mia ragazza. L'affitto era troppo alto per pagarlo da solo. Ho cominciato a stare a corto di soldi. Ho dovuto lasciare la casa. È così che sono diventato homeless».

Tom O' Kelly ha 32 anni e porta una giacca di tweed grigia di buona fattura e abbastanza ben tenuta se non fosse per gli orli consumati. Non è difficile immaginarselo ben rasato e con la camicia pulita e stirata, mentre di mattina aspetta il tram per andare in ufficio, come faceva ogni giorno durante gli anni del boom immobiliare. Come facevano tanti altri barboni di classe media (middle class homeless) che cercano di sopravvivere sulle strade di Dublino. In un paese se negli anni buoni era noto come la "tigre celtica" per la sua crescita rampante, dopo la crisi dei mutui tossici si è ritrovato imprigionato nella gabbia del Fondo Monetario e Banca Centrale Europea a cui l'Irlanda deve un prestito da 85 miliardi di euro. E interessi.

Alla mensa di frate Kevin

Tom lo incontro in coda per prendere il biglietto gratuito da consegnare alle cuoche del Capuchin Day Centre, la più grande mensa per i poveri di Dublino, gestita dall'anziano frate cappuccino Kevin Crowley. Ogni giorno qui viene servita una media di mille pasti a chi non ha soldi per sfamarsi: numero più che raddoppiato rispetto agli anni prima della crisi quando ne servivano un massimo di quattrocento. Simili aumenti ci sono stati anche per le colazioni, e i sacchetti di provviste che il centro distribuisce una volta alla settimana.

È la terza volta che negli ultimi anni vado a visitare la mensa di frate Kevin. E ogni volta che vengo il salone sembra essere sempre più gremito e la coda fuori più lunga, anche se per fortuna dall'altro lato ci sembrano anche essere sempre più cuoche in azione e cibo a sufficienza. «Da quando vengo qui il numero di persone è aumentato considerevolmente», conferma Simona, una ragazza siciliana che lavora come maestra di tango e fa la volontaria al Capuchin Centre. Testimonianze che sembrano contraddire la Homeless People Unit, ente per l'assistenza ai poveri della città di Dublino, secondo cui il numero di senzatetto sarebbe invariato rispetto ai censimenti fatti prima della crisi.

Frate Kevin, che ha aperto il centro alla fine degli anni '60, invece non ha dubbi. «Nella mia vita non avevo mai visto un periodo più nero di questo, con più angoscia e disperazione sulle strade di Dublino. Con più persone che avessero bisogno di aiuto e con tante persone benestanti cadute in disgrazia». E se chiedi a frate Kevin chi siano le persone che si siedono alla sua mensa, lui risponde: «Noi non facciamo domande alle persone che vengono qui perché pensiamo che sia già abbastanza difficile la situazione in cui si trovano. Però talvolta le persone ci raccontano le loro storie e da quello si può vedere che questa crisi non ha risparmiato nessuno». Insomma non solo i «soliti sospetti» come disoccupati e operai poco qualificati, o persone con problemi di droga, alcolismo e malattia mentale, ma pure «architetti, ingegneri, avvocati». «Noi li chiamiamo i nuovi poveri».

Classe media allo sbando

La crisi dei mutui spazzatura non è la prima crisi ne sarà l'ultima che si abbatte sulle coste dell'Irlanda. I più anziani ricordano ancora con amarezza quella «terribile» degli anni '80, quando tanti irlandesi si trovarono costretti a emigrare a frotte. Come ai vecchi tempi. La differenza è che se in quel caso a essere colpiti furono soprattutto operai e minatori, vittime della de-industrializzazione, questa crisi è arrivata dappertutto, colpendo pesantemente la classe media di impiegati e liberi professionisti. Neppure gli «eroi economici» degli anni del boom immobiliare, gli architetti e ingegneri impegnati nei progetti infrastrutturali e residenziali che fino a pochi anni disseminavano di gru il paesaggio urbano, sono stati risparmiati dal tritacarne.

Il settore delle costruzioni è uscito dalla crisi pressoché dimezzato, con decine di migliaia di muratori finite nelle liste di disoccupazione che hanno superato quota 400.000. Tra le fila dei progettisti, architetti ed ingegneri, addirittura un terzo è finito licenziato tra il 2008 e il 2009. La perdita del lavoro ha colto molti tra questi professionisti (specie i più giovani) senza risparmi e con il peso di mutui contratti nel periodo di massima espansione della bolla immobiliare, con rate che sono diventate di colpo insostenibili anche per lavoratori altamente qualificati per cui ormai non c'era prospettiva di trovare lavoro. C'è chi è riuscito a salvarsi facendo affidamento a parenti e amici o emigrando all'estero come hanno fatto 200.000 irlandesi dall'inizio della crisi. Ma in tanti, specie quelli rimasti senza reti sociali a cui aggrapparsi, si sono ritrovati di colpo poveri. Talvolta senza neppure un posto dove dormire al riparo dalla pioggia e dal freddo.

Seduto ad uno dei tavoli del Capuchin Day Centre trovo Nick, un uomo di 35 anni con i capelli castani un po' imbiancati. Originario di Cork, lavorava come ingegnere civile, occupandosi di gestione del cantiere per una compagnia edilizia di Dublino. «Ho fatto male i calcoli con i soldi che avevo e con il costo della vita. Quando ho perso il lavoro mi sono reso conto che non riuscivo a pagare le rate del mutuo e ho cominciato a vivere dove capitava, in case abbandonate. A volte pure per strada. Gli ostelli per i poveri non mi piacciono», racconta tenendo stretta la forchetta con cui si porta alla bocca roastbeef e purè di patate. Poi mi spiega con puntiglio da buon ingegnere come ci si arrangia nella vita per strada. «Bisogna mettere diversi strati di cartone sotto il sacco a pelo per dormire bene. Perché se no ti entra il freddo del marciapiede. E bisogna cercare un posto dove non ci sia vento e dove la gente non vada a pisciare. Dopo un po' ci si abitua anche a quello».

«Sentiamo tante storie di gente che prima stava bene e adesso non sanno come la cavarsela e come fare a pagare le rate del mutuo», spiega frate Kevin. Secondo gli ultimi dati 45.000 famiglie irlandesi si trovano in arretrato di 3 mesi sulle rate del mutuo, per un valore complessivo di 8,5 miliardi di euro di «mutui tossici». Si tratta spesso di persone che stavano relativamente bene prima della crisi, ma che non hanno messo da parte «il penny per il giorno di pioggia» come consiglia un proverbio popolare. E che ora devono fare fronte alla minaccia di sfratti di massa. Specie se come temono in molti nei prossimi mesi le banche irlandesi che fino ad ora hanno ricorso limitatamente agli sfratti contro le famiglie in arretrato, decidano di andarsi a prendere le case che nel frattempo hanno perso più un terzo del valore che avevano prima della crisi. Per cercare di venderle e recuperare il possibile.

La casa: da sogno a incubo

Gli «architetti senza tetto» che si incontrano alla mensa di padre Kevin sono la dimostrazione che il sogno del neoliberalismo del mattone made in Ireland si è trasformato in un incubo. Un incubo che ha sullo sfondo l'immagine delle lunghe file di case appena costruite e già abbandonate nella periferia di Dublino, Cork, Galway e tante altre città. E in primo piano l'immagine di un uomo impiccato alla casetta di legno del suo giardino. «Un mio collega era andato a fare visita ad un signore che era in arretrato sulle rate del mutuo. La moglie gli ha detto che non c'era e di tornare tra due ore», racconta Andrew, un ragazzo che lavora in una banca immobiliare a Dublino. Prima della crisi siglava mutui. Adesso è stato spostato insieme a molti colleghi al reparto recupero crediti. «Quando il mio collega è tornato lo ha trovato morto. Nei prossimi mesi la mia banca potrebbe chiedermi di essere più aggressivo con le persone che sono in arretrato sui pagamenti. E io non so se ne sono capace».

La casa da formidabile fonte di speculazione si è trasformata in una dannazione per le banche dei mutui a go-go, e in una meta irraggiungibile per tante persone, come quelle che ogni giorno fanno la fila alla mensa di padre Kevin. «Quello che vorrei è avere una casa e non avere più bisogno della droga. Non chiedo tanto», afferma sorridendo Stuart, 42 anni, americano d'origine, con 3 anni passati nell'esercito. Adesso dorme in un ostello per i poveri del comune di Dublino. Di lavoro fino a un anno fa faceva l'avvocato ed era sposato con una donna irlandese con cui viveva in una casa spaziosa nel Nord di Dublino. Dopo problemi di alcolismo e la separazione con la moglie, anche lui si è trovato senza risparmi. Ha avuto problemi ad ottenere il sussidio di disoccupazione e per l'abitazione, «perché per avere il sussidio devi risiedere da qualche parte», e si è trovato anche lui assieme come tanti altri professionisti, un tempo stimati e ben pagati, a dormire dove capita e a mangiare alla mensa per i poveri.

«Io spero vivamente che la situazione migliori - afferma frate Kevin - ma a vedere quello che sta succedendo temo che nei prossimi mesi possano aumentare ancora le persone che hanno bisogno di aiuto. E potrebbe diventare difficile dare da mangiare a tutti quelli che hanno bisogno». Il Capuchin Day Centre spende ogni anno 1,3 milioni euro, di cui 430.000 sono coperti dallo stato e il resto da offerte. Il timore è che il nuovo governo della coalizione Fine Gael e Labour che ha vinto le elezioni di fine febbraio possa tagliare quei fondi come minacciava già di farlo il precedente governo liberista del Fianna Fail. «Dobbiamo amare il nuovo governo, sperando che ci continui ad aiutare» sospira frate Kevin con una vena di amarezza prima di tornare a supervisionare il traffico di piatti e pentole dell'indaffaratissima cucina.