giovedì 13 maggio 2010

Giallo-blu a Downing street

«Se volete, fatevi pure sedurre da Nick Clegg. Ma sappiate che alla fine vi ritroverete sposati con David Cameron». La profezia agitata dal «principe delle tenebre», il machiavellico politico laburista Peter Mandelson, durante la campagna elettorale, si è avverata ieri sul prato del giardino interno di Downing Street, dove i due sposini di centro-destra, il leader dei Conservatori Cameron, e quello dei Liberaldemocratici Clegg, hanno celebrato di fronte alla stampa, l'insediamento del primo governo di coalizione dai tempi di Winston Churchill, in cui fungeranno rispettivamente da primo ministro e da vice primo ministro. «Un governo che durerà cinque anni», hanno promesso i due, nonostante la diffidenza dei rispettivi partiti, il malumore della base, e lo scetticismo dei bookmakers, che già puntano sul ritorno alle urne entro un anno.
Dopo aver ottenuto l'incarico martedì sera dalla Regina Elisabetta, mezz'ora dopo che il laburista Gordon Brown aveva frettolosamente lasciato Downing Street accompagnato da moglie e bambini, il 43enne Cameron aveva promesso di costruire una «società giusta» basata sulla responsabilità. Ieri, presentando l'esecutivo in compagnia di Clegg, il leader dei «New Tory», ha affermato che «toglierà il potere ai politici e lo metterà nelle mani della gente», dando vita ad una «grande società» al posto del «grande governo» coltivato dal New Labour. Clegg gli ha fatto da sponda, affermando che il nuovo governo sarà «riformatore e progressista» e che «vedrà il debutto di un nuovo modo di fare politica: una politica diversa e plurale». «Non solo un nuovo governo ma pure una nuova politica», hanno affermato i due all'unisono.
Nella squadra giallo-blu svelata ieri pomeriggio, i liberaldemocratici deludono le attese, accontentandosi di una manciata di poltrone. I ministeri importanti vanno quasi tutti ai Conservatori. L'aristrocratico George Osborne, che come Cameron fu membro dell'esclusivo Bullingdon club ai tempi degli studi a Oxford, diventa cancelliere dello scacchiere, ovvero ministro del Tesoro. Il torvo William Hague, già leader dei Tory, e tenace anti-europeista, si prende il ministero degli esteri. Il bonario Ken Clarke, veterano degli esecutivi Thatcher e Major, va al ministero della giustizia. Al militarista Liam Fox viene affidata la Difesa. All'amico delle cliniche private Andrew Lansley viene concessa la Sanità. Il ministero degli Interni infine viene dato a Theresa May, unica donna nell'esecutivo: un evidente passo indietro rispetto all'era New Labour. I Liberaldemocratici si accontentano del ministero per la Scozia, assegnato a Danny Alexander, di quello dell'Energia affidato a Chris Huhne, e del dicastero dell'Industria con delega alle banche, messo in mano al vulcanico libdem Vincent Cable, noto per le critiche al sistema finanziario.
I Tory sono stati più generosi verso i novelli alleati libdem sul programma di governo. Passa la richiesta del partito di Clegg per un referendum sul sistema elettorale, che potrebbe aprire le porte ad un sistema misto proporzionale/maggioritario: una concessione significativa dato che i conservatori difendono tenacemente il maggioritario secco. Viene annunciata pure la creazione di una no-tax zone per le famiglie con reddito sotto le 10.000 sterline, ed investimenti per i bambini disagiati, proposti dai Libdem durante la campagna elettorale. Si promettono un alt all'espansione degli aeroporti, e investimenti per l'energia solare ed eolica. Differenze da colmare rimangono sulla guerra in Afghanistan, con i Libdem che vorrebbero accelerare l'uscita dal conflitto e sull'Europa dove le posizioni dei due partiti sono difficilmente conciliabili.
Il protocollo d'intesa siglato da Tory e Libdem, lascia pure intendere come il partito di Clegg abbia accettato a testa bassa la linea Tory sull'economia con tagli pesanti alla spesa pubblica per fare fronte al deficit. Viene annunciata una finanziaria di emergenza entro 50 giorni che dovrebbe produrre 6 miliardi di «risparmi» per fare felice la City. Si prospettano misure draconiane sui disoccupati, che presto saranno costretti ad accettare qualsiasi lavoro venga offerto loro per non rimanere senza contributi, e licenziamenti a raffica per i dipendenti pubblici. Interventi che rischiano di mandare la disoccupazione alle stelle e ributtare il paese in una seconda recessione, come paventato dagli stessi Libdem durante la campagna elettorale.
Dentro il partito liberaldemocratico l'accordo con i Conservatori ha fatto infuriare diversi attivisti, e tanti intellettuali di sinistra che disgustati da 13 anni di New Labour avevano deciso di appoggiare Clegg alle ultime elezioni, senza sospettare che cosi rifacendo si sarebbero ritrovati a nozze con i Tory. Così per i liberaldemocratici alla prima esperienza di governo da diversi decenni, lo sposalizio con i Conservatori potrebbe rivelarsi un abbraccio mortale.

mercoledì 12 maggio 2010

Brown si dimette, incarico a Cameron

«Grazie e arrivederci». Dopo cinque giorni di resistenza in cui è rimasto in trincea a Downing Street, cercando di scongiurare a tutti i costi l'entrata dei Tory di David Cameron, ieri Gordon Brown ha presentato ufficialmente le dimissioni da primo ministro alla regina Elisabetta e ha chiesto al sovrano di invitare il leader dei Conservatori Cameron a formare un nuovo esecutivo.

La decisione di Brown è giunta a seguito del fallimento della trattativa tra laburisti e liberaldemocratici, spenta sul nascere dall'opposizione interna di diversi esponenti Labour. In tarda serata tutti prevedevano che a brevissimo, forse già nella nottata, sarebbe stata annunciata la formazione di un esecutivo guidato da David Cameron, con al suo interno diversi ministri liberaldemocratici, nella prima coalizione giallo-blu della recente storia britannica.

Sin dalla mattinata si percepiva che quella di ieri sarebbe stata la giornata decisiva, dopo cinque giorni di trattative febbrili per creare un nuovo esecutivo, seguite ad elezioni che avevano restituito al paese un parlamento appeso, con nessun partito con la maggioranza dei seggi.

Di prima mattina Cameron aveva lanciato un ultimatum a Clegg, definendo la giornata di ieri il «giorno delle decisioni», e per tutta risposta Clegg si era detto impaziente di porre fine alla situazione di incertezza. A sbloccare la trattativa tra Libdem e Tory, è stato il fallimento dei colloqui paralleli tra libdem e i laburisti.

Cercando di approfittare dello stallo nei negoziati tra liberaldemocratici e conservatori, ieri Brown si era detto disposto a farsi da parte, per persuadere i Libdem, restii ad unirsi ad un governo da lui capeggiato, a venire a patti con i laburisti. Ma il tentativo di Brown si è presto infranto di fronte alla resistenza di diversi esponenti del Labour, tra cui il ministro alla salute David Burnham che ieri mattina ha affermato che il «Labour deve rispettare i risultati delle elezioni e prepararsi all'opposizione», e l'ex ministro degli interni Blunkett che ha chiamato i libdem «prostitute».

Le dimissioni di Brown promettono di accelerare la formazione di un governo di coalizione tra Conservatori e Liberaldemocratici, a cui ieri sera mancava solo il timbro finale dell'approvazione dei rispettivi gruppi parlamentari. L'accordo raggiunto tra liberaldemocratici e Conservatori coprirebbe un periodo di tre anni, prima del ritorno alle urne. Dopo le dure resistenze iniziali i Conservatori hanno offerto ai Liberaldemocratici un referendum per cambiare il sistema elettorale in senso più proporzionale. Al partito di Clegg verrebbero inoltre affidati sei dicasteri, e a Clegg stesso andrebbe la carica di vice primo ministro. I Libdem porterebbero a casa pure la no-tax zone sotto le 10.000 sterline, una proposta chiave del loro manifesto programmatico. I Libdem non otterrebbero il cancelliere dello scacchiere che probabilmente andrà al liberal Tory Ken Clarke. Ma avrebbero voce sui tagli alla spesa pubblica da effettuare per diminuire il deficit, giunto ormai a quota 12%. I Conservatori si sono dimostrati sorprendentemente disponibili ad abbandonare una serie di provvedimenti sbandierati in campagna elettorale tra cui l'eliminazione della tassa di successione sopra la soglia di 300.000 sterline, e agevolazioni fiscali per le coppie sposate. Tuttavia non hanno lasciato spazio sull'immigrazione. I liberaldemocratici avrebbero accantonato la loro richiesta di regolarizzazione per i clandestini che si trovino nel paese da 10 anni, in cambio di concessioni in altri settori.

Il nuovo esecutivo potrebbe prendere possesso del numero 10 di Downing Street già questa mattina, dopo un trasloco lampo di Brown e del suo cancelliere Darling. David Cameron si presenterebbe poi di fronte alla camera dei Comuni nel giorno di apertura del nuovo parlamento, il 18 di maggio prossimo e non dovrebbe avere alcun problema ad ottenere il voto di fiducia, dato che Conservatori e Liberaldemocratici assieme, hanno una maggioranza di circa 30 voti.

Tuttavia rimangono incognite sulla tenuta a lungo termine di una coalizione Lib-Con, perché molti esponenti di spicco del partito liberaldemocratico tra cui i decani Menzies Campbell, Charles Kennedy e Vincent Cable hanno detto che avrebbero preferito un accordo con il Labour Party, e l'accordo con i Tory sarà pure difficile da far digerire alla base. Ciò che si prospetta alla coalizione di governo è un futuro tutt'altro che invidiabile, disseminato di tagli alla spesa pubblica e scelte impopolari. Una situazione in cui, come devono avere pensato gli esponenti del Labour che hanno messo fine alla trattativa con il partito di Clegg, è meglio trovarsi all'opposizione che al governo.

giovedì 6 maggio 2010

Dagenham e Barking, la destra razzista spera in due collegi

«Vai in giro per le strade e sono tutti stranieri: nessuno parla inglese. Se non sbaglio qui siamo in Inghilterra». Roger ha venti anni, una camicia bianca, una cravatta blu e rossa come la Union Jack, occhiali da sole impenetrabili. Non dice esplicitamente di votare il British National Party (Bnp), «perché se no poi dicono che sono razzista». Ad ascoltarlo sembra di sentire un improbabile proclama del Bnp sulla purificazione etnica della Gran Bretagna ed il rimpatrio degli immigrati. Dice che il Labour ha spalancato le frontiere e rimpiange un passato in cui «la comunità era molto più unita, perché non c'erano così tanti stranieri».

Eppure gli amici venuti con lui a vedere le celebrazioni per la festa di San Giorgio patrono d'Inghilterra, con tanto di finto drago di cartapesta, falconieri e figuranti in costumi medievali, non sono esattamente gli «indigeni di pura razza britannica» che il Bnp vorrebbe come soli legittimi abitanti della Gran Bretagna. Al suo fianco sul prato di Dagenham Park ci sono una ragazza italiana, un albanese e due lituani che lo ascoltano senza tradire troppo imbarazzo. «Il problema non sono gli europei», spiega di fronte alla mia perplessità. «Il problema sono i neri e gli asiatici che vengono e si riproducono rapidamente».

Siamo nel sobborgo di Barking e Dagenham, all'estrema periferia est di Londra, una tradizionale roccaforte Labour, dove la metropoli si disperde nella campagna dell'Essex, territorio Tory. Qui aveva sede quella che per un tempo fu la piu' grande industria europea: una fabbrica della Ford che dava lavoro a migliaia di lavoratori, ridimensionata negli anni '80 fino ad essere chiusa nel 2002. Con la crisi del settore manifatturiero la zona si e' impoverita rapidamente. Oggi ha il reddito medio pro-capite piu' basso di Londra, ed un bambino su tre nasce in una famiglia povera. È anche una delle aree con il più rapido cambiamento demografico nella Gran Bretagna. Migliaia di immigrati, specialmente africani, si sono trasferiti qui negli ultimi anni, contribuendo a portare a quota 50.000 persone, la lista di attesa per le case popolari, ridotte all'osso durante l'era Thatcher e rimaste al palo sotto il Labour.

È in questa area marginale sulla sponda del Tamigi che si gioca una partita importante delle elezioni di oggi. Nei due collegi elettorali di Dagenham e Barking, il Bnp spera di consolidare l'avanzata delle ultime elezioni europee in cui ottene il 6,2% dei voti. A Barking è schierato il leader del partito, l'europarlamentare Nick Griffin, personaggio inquietante con un occhio di vetro e la scriminatura alla Adolf Hitler, che da giovane ebbe come mentore Roberto Fiore, segretario di Forza Nuova, rifugiatosi a Londra dopo la strage di Bologna. In un'elezione dominata dal tema immigrazione, la vittoria del Bnp a Barking e Dagenham sembrava inevitabile. Eppure l'entrata in parlamento potrebbe sfumare anche stavolta, a causa delle lotte interne che stanno divorando il partito, in cui cova l'insofferenza verso il padre-padrone Griffin.
I problemi per il Bnp sono cominciati a novembre: a sorpresa Griffin volle per sé il collegio di Dagenham dove avrebbe dovuto competere Richard Barnbrook, consigliere comunale Bnp a Londra. A inizio aprile i disappori interni furono esposti al pubblico ludibrio: Griffin fu minacciato di morte da Mark Collett, responsabile per la comunicazione del partito, disgustato per le spese folli di Griffin. Poi lo scandalo del comunicato elettorale che esponeva in sovraimpressione un barattolo di Marmite, la crema salata che è la Nutella della classe operaia inglese. A suggellare il disastro ci ha pensato ieri Simon Bennett, webmaster del sito del partito, che infuriato contro la dirigenza Bnp ha rinviato i visitatori sul proprio sito dove era pubblicato un comunicato che definiva Griffin un «personaggio patetico».

Ora, nonostante la leggendaria insipienza della dirigenza del partito, per le strade di Barking e Dagenham le tante bandiere inglesi esposte in giardini, negozi e finestre lasciano intendere che oggi qui in molti voteranno Bnp. «Tutti quanti i miei amici voteranno Bnp» - afferma Simon un muratore trentenne. «E anche io ci sto pensando perché ci sono troppi nigeriani da queste parti». Su Barking High Street in un ristorante giamaicano, incontro alcuni di questi «famigerati» nigeriani. Natalie ha 18 anni, la sua famiglia è di Lagos, ma è nata a Parigi. Con lei a mangiare agnello al curry e riso con fagioli ci sono altre due amiche nigeriane, una nata in Portogallo, l'altra in Spagna. «Il razzismo c'è ma non si vede» - mi dice per minimizzare. Poi però mi racconta che durante la notte di Halloween un gruppo di ragazzi bianchi le tirarono uova urlandole «negre» e che un giorno una signora anziana la invitò ad andare a sedersi in fondo al bus, «come facevano in Sud Africa al tempo dell'Apartheid». «Il fatto che questo posto è una noia mortale. Non c'è niente da fare. Per quello che la gente diventa razzista». Sogna di andarsene in un posto piu accogliente. "Magari in Italia. Da voi non c'è razzismo, vero?».

mercoledì 5 maggio 2010

La campagna Verde d'Inghilterra

«Una volta ci ridevano dietro quando passavamo. Pensavano che fossimo tutti quanti hippie e vegetariani. Ora ci prendono più sul serio, anche se per quanto mi riguarda io continuo ad essere vegetariana». Caroline Allen bussa una ad una a tutte le porte di Ladies Mile Road. Patcham, un sobborgo tranquillo sulle colline a Nord del centro di Brighton. Zona conservatrice o come dicono qui Tory Territory: un enclave color blu conservatore in un collegio elettorale fortemente progressista, nella Brighton degli hippie, degli artisti e della comunità gay e lesbica, dove alle elezioni europee i verdi sono arrivati primi ed il Labour secondo.

E' in zone ostili come Patcham che in queste ultime ore prima dell'apertura delle urne, sono all'opera attivisti verdi come Caroline Allen venuti da tutta l'Inghilterra sud-orientale per far sì che per la prima volta nella storia britannica, i Verdi abbiano un rappresentante in parlamento. La candidata nel collegio di Brighton-Pavilion è Caroline Lucas, segretaria del partito dal 2007, ex attivista del movimento per il disarmo nucleare e parlamentare europea dal 2007. Gli ultimi sondaggi e le compagnie di scommesse, che oltre ai cavalli e alle partite di calcio, giocano pure sulle elezioni, dicono che probabilmente dopo il 6 Maggio la Lucas sarà la prima parlamentare verde ai Commons.

La Lucas, cinquantenne, è stata la figura che ha cercato di traghettare i Verdi da partito di lotta a partito di governo. E gli elettori le hanno dato ragione. Negli ultimi anni i Verdi hanno conquistato diversi consigli comunali in giro per l'Inghilterra e ad alle ultime elezioni europee hanno raggiunto quota 8,6%, diventando di fatto il quarto partito britannico. Dopo l'exploit delle europee i Verdi si sono presentati come l'unica forza veramente di sinistra nel panorama britannico, avanzando nel manifesto programmatico proposte radicali non solo sull'ambiente ma anche sul lavoro e per la riforma del sistema finanziario. Oltre che a Brighton i Verdi sperano pure di vincere a Greenwich nel sud-est di Londra e a Norwich South nell'est dell'Inghilterra.

Sull'onda dei sondaggi favorevoli qualcuno sogna già che anche qui in Gran Bretagna succeda quello che è accaduto in Irlanda dove i Verdi sono parte di un governo di coalizione. A fermare l'avanzata del partito ci pensa il «first-past-the-post», il sistema maggioritario, che costringe gli elettori a scegliere il meno peggio tra i tre grandi partiti britannici. Ma i Verdi guardano oltre le elezioni: se nessuno ottenesse la maggioranza dei seggi, i Conservatori e i Laburisti si potrebbero vedere costretti a concedere ai Liberaldemocratici una riforma elettorale in senso proporzionale, per ottenere il loro appoggio. E c'è pure chi fantastica che se i Conservatori o i Liberaldemocratici si trovassero a corto di seggi, la Lucas potrebbe dare il suo voto in cambio di politiche ambientaliste.

La giornata di campagna elettorale porta a porta per far eleggere Caroline Lucas comincia di prima mattina all'Eco-centre, sede delle organizzazioni ambientaliste di Brighton. Negli scaffali della libreria ci sono i classici del movimento ecologista e dell'ondata anti-globalizzazione, da Schumacher a Naomi Klein. A lato prodotti organici e fair trade.Nella stanzetta all'entrata Laurie, una ragazza di 24 anni, accoglie i nuovi arrivati, studenti, ragazze, gente di mezz'età e li organizza in gruppi per andare a volantinare in giro per la città o per andare a fare visita agli elettori porta a porta. I volontari vengono portati in diversi punti di raccolta in giro per la città dove gli viene spiegato velocemente come interagire con gli elettori.

A ciascun attivista viene affidata una cartellina con tutti gli indirizzi delle persone contattate in precedenza, con a lato i codici che registrano le reazioni alle visite precedenti e la probabilità che votino per i Verdi. G1 se dicono che sicuramente non voteranno i Verdi. G2 se dicono se dicono di averci pensato. G3 se il voto è probabile. G4 se sono certi di votarlo. GP se oltre a votare il partito si sono pure resi disponibili per mettere un poster elettorale alla finestra o un cartellone nel giardino.Caroline Allen bussa alla porta di una villetta di mattoni. Apre un uomo sulla quarantina. Da dietro fa capolino la moglie e i due bambini di 3 e 5 anni. «Votare i verdi? Beh si, pensarsi ci ho pensato. Io di lavoro faccio l'ingegnere solare», afferma l'uomo prima di chiedere dettagli puntuali sul manifesto programmatico del partito.

Altra casa, altro voto. Alla porta è un signore con la cinquantina che tiene fermo al collo il suo pastore tedesco per evitare che azzanni Caroline. «Sì, io voterei verde. Pero' non so se sono molto verde. A me piace andare in moto, sai?», dice l'uomo sorridendo. «Noi mica vogliamo proibire alla gente di andare in moto» - ribatte Caroline - «vogliamo un cambiamento graduale nei trasporti. Non siamo irragionevoli». L'uomo annuisce. Caroline annota G3 a fianco del nominativo. Niente male per essere una zona ostile.«Le persone ci vedono in giro per la comunità. Abbiamo tanti consiglieri comunali, e quando abbiamo consiglieri comunali la gente vede che lavoriamo bene», spiega ancora Caroline. «E' successo in tanti posti in giro per la Gran Bretagna. Alla prima tornata vengono eletti un paio di consiglieri comunali. La volta dopo quattro, poi otto, finché non arriviamo ad avere la maggioranza come qui a Brighton».

Caroline continua a bussare, ma dopo diversi segnali positivi ora le tocca una serie di risposte negative. Donne anziane che guardano dalla finestra chi ha bussato alla porta e non vanno ad aprire.Uomini di mezz'età che rispondono a malo modo. Una signora sulla sessantina che si affaccia in accappatoio e dice che in casa tutti voteranno conservatore. Una ragazza che sbatte la porta in faccia non appena vede la coccarda verde. All'ultima porta in fondo alla via apre un signore settantenne con gli occhiali. «Io a voi Verdi vi voto, anche se siete dei pazzi», dice sogghignando, prima di accettare di mettere un poster alla finestra.