domenica 28 giugno 2009

Il diritto d'asilo finisce nelle «giungle»

«Grazie per il sostegno che ci state dando. E' molto importante la vostra solidarieta. Purtroppo non possiamo unirci alla protesta perché e troppo pericoloso per noi», diceva un ragazzo afghano nell'ultima assemblea prima della protesta di ieri a sostengo dei migranti a Calais: la porta d'Europa sull'Inghilterra, che per molti migranti in arrivo dall'Asia e dall'Africa si rivela un cancello sbarrato. E ieri e andata proprio cosi. Mentre i ragazzi e le ragazze giunte da diversi paesi della «fortezza Europa» al campeggio di protesta no border invadevano le strade di Calais, i sans-papiers per cui manifestavano, per paura di rappresaglie della polizia, si sono ritirati nei loro accampamenti tra boscaglia ed edifici abbandonati.
Si tratta di quell'area di Calais che qui migranti e abitanti locali chiamano «la giungla», o ancora meglio le giungle, per distinguere le diverse boscaglie abitate da persone provenienti dall'Asia meridionale - afghani pashtun e azeri, iraniani, curdi, indo-pachistani, palestinesi - ma pure da africani tra cui somali, sudanesi ed eritrei. Secondo alcune stime qui si troverebbero quasi duemila migranti in attesa della volta buona per passare la Manica, nascosti tra i container o sui Tir. Gente in fuga da guerra e violenza che vuole andare in Gran Bretagna perché spera di ottenervi il diritto di asilo che non gli è stato concesso in Francia. C'è chi ha provato 18 volte e non c'è riuscito. Molti rimangono per mesi o anni nelle giungle, dove sono oggetto della continua minaccia delle ronde di polizia e degli sgomberi. Alcuni per la disperazione provano ad attraversare la Manica camminando lungo le gallerie dell'Eurotunnel, dove i treni sfrecciano a 160 chilometri orari, come hanno fatto quattro afghani a fine anno. Questa situazione va avanti da meta anni '90 e si è aggravata nel 2004, quando Francia e Regno Unito hanno stretto un accordo per scambiarsi posti di frontiera a Dover e Calais, decisione voluta dal Regno Unito per evitare l'arrivo di richiedenti asilo.
Per mettere in luce questa situazione tragica, ieri 2.000 manifestanti hanno attraversato Calais, chiedendo di eliminare i controlli migratori. Contro di loro la polizia anti-sommosa presidiava la citta, dopo una pesante campagna di stampa che anticipava il rischio di violenze. I Crs francesi armati di gas lacrimogeni e granate sonore hanno rallentato il cammino dei manifestanti provenienti dal campeggio verso il faro di Calais, dove si sono uniti con partiti, sindacati e gruppi religiosi. Le scaramucce sono continuate, con diversi manifestanti feriti dalle manganellate. Poca cosa però rispetto alla tensione dell'altro ieri, quando la polizia sembrava intenzionata a sgomberare il campeggio di protesta dopo che alcuni manifestanti avevano bloccato per alcune ore la vicina autostrada.
«Abbiamo mostrato che i migranti non sono soli a conbattere i confini», ha affermato Lounes, attivista parigino di origini algerine. «L'esistenza dei confini crea razzismo e odio verso il diverso. Il diritto al movimento è un diritto fondamentale. Bisogna poter scappare da situazioni dove affronta violenza e miseria e andare altrove per farsi un'altra vita». Per Tom, attivista gallese, «i migranti illegali vengono da paesi che continuano a essere depredati in maniera coloniale, e magari pure vittime dell'attacco militare dei paesi occidentali. Come si puo negare il diritto di asilo agli afghani, dopo quello che abbiamo fatto là negli ultimi 8 anni?».
Le proteste di questi giorni sono sicuramente riuscite ad attirare l'attenzione dei media e a mettere in imbarazzo le istituzioni, che cercano di nascondere il problema - qualche anno fa hanno fatto fuori il centro della Croce Rossa di Sangatte, che forniva almeno cibo e indumenti ai migranti. Quanto a un cambiamento della politica migratoria, nessuna soluzione è in vista per i migranti radunati a Calais - nonostante il sindaco della cittadina, Natacha Bouchat dell'Ump di Sarkozy, si sia dichiarata favorevole a eliminare questo assurdo confine nel cuore dell'Europa, pur di liberarsi dei migranti costretti a vagare per le strade di Calais.
Le tende del campeggio «no border» saranno levate già domani, gli accampamenti dei migranti continueranno a punteggiare le giungle nella zona vicino al porto nei mesi e negli anni a venire. «I politici ci dicono che l'abolizione dei confini è cosa assurda» afferma Hassan, attivista iraniano arrivato a Londra 20 anni fa: «Eppure in Europa da più di 15 anni di fatto si vive senza confini tra paesi molto diversi tra di loro anche in termine di ricchezza, e non mi pare che sia successo il pandemonio». Nell'attesa che qualcuno dia ascolto a idee come questa, ai migranti non resta che sperare in un posto tra i container per attraversare le 21 miglia che separano Calais da Dover, in Inghilterra, al modico costo di mille euro.

mercoledì 24 giugno 2009

«Noi non ci saremo» La delusione no global

Non si preoccupino il ministro Maroni e il capo della polizia Manganelli. Nessuna "orda no-global" si appresta a valicare i patri confini in vista del G8 dell'Aquila. E certo non perché gli attivisti anti-globalizzazione d'oltralpe e d'oltremare siano terrorizzati dai controlli frontalieri rimessi in piedi grazie alla sospensione del trattato di Schengen che scatterà nei prossimi giorni.
«Sarà un anti-G8 tutto italiano»: questa l'impressione che rimbalza da Parigi, a Berlino, a Londra tra quei gruppi di attivisti che in passato hanno partecipato in massa alle mobilitazioni contro il G8 e altri vertici internazionali. Anche dopo l'annuncio del calendario di protesta uscito dall'assemblea di domenica scorsa, in pochi sembrano intenzionati ad unirsi alle proteste a Roma e in Abruzzo, e chi vorrebbe partecipare è preoccupato per la mancanza di informazioni e turbato dalle polemiche e dal nervosismo che serpeggia in quel che resta del movimento no-global in Italia.
A due settimane dall'arrivo in Italia delle delegazioni dei potenti della terra le proteste contro il G8 sono invisibili all'estero e non solo su quotidiani e televisioni ma pure su indymedia (network nato proprio sull'onda delle proteste globali, a partire da Seattle nel '99) e altri siti di informazione alternativa, dove in altre occasioni l'avrebbero fatta da padrone per mesi. «In che giorni ci saranno le manifestazioni?», chiede confusa Liza, un'attivista tedesca che due anni fa ha partecipato alla mobilitazione contro il G8 a Rostock in Germania. «Qua non se ne parla proprio. Non credo che verranno in molti».
I grandi gruppi organizzati che negli anni passati avevano organizzato pullman e treni per portare i sostenitori alle proteste hanno già dato tutti forfait. Dal Nouveau Parti Anticapitaliste di Besancenot al Socialist Workers Party inglese, i trotzkisti non si metteranno in viaggio per l'Aquila. «Siamo concentrati su altre cose», afferma Chris Bambery, direttore di Socialist Workers, organo ufficiale del Swp, «lo spostamento del vertice all'ultimo minuto sembra aver mandato tutto all'aria». «Siamo stremati dopo la campagna per le europee», si giustificano invece dall'Npa, che pure invierà una delegazione simbolica alle proteste.
A tenersi alla larga dalle proteste contro il G8 saranno pure i contingenti nazionali di Attac, che dal 1998 in poi non avevano mancato una protesta globale sul continente europeo. «Purtroppo non possiamo aderire a proteste organizzate ad appena due settimane dall'evento ed i cui contenuti non ci sono noti», afferma Nicolas Berthonneau di Attac France. «È un po' un peccato che vada così. Anche perché sarà il primo G8 dal 1984 per il quale non viene organizzato un controvertice».
Simile sembra essere il clima tra autonomi e anarchici. «Alcuni gruppetti sparuti andranno, ma sarà ben poca cosa rispetto a 8 anni fa», afferma Hannah Jobst di Gipfelsoli, un'organizzazione che ha sostenuto le mobilitazioni contro il G8 negli ultimi anni. «Sappiamo bene che il movimento italiano sta facendo del suo meglio in una situazione difficile e dichiariamo la nostra solidarietà». Solidarietà che sarà espressa in Germania con due manifestazioni anti-G8: una il 4 luglio a Berlino e un'altra l'11 luglio a Friburgo subito dopo la conclusione del vertice.
Per i piccoli gruppi e individui che nonostante l'incertezza che impera sulle proteste vogliono manifestare all'Aquila, l'impressione è quella di non essere i benvenuti. «Ci sono campeggi di protesta o centri sociali dove è possibile dormire?» chiedono invano gli attivisti stranieri sulle tante mailing list rimaste in piedi dagli anni delle grandi proteste no-global. «Non è chiaro quali siano i piani per la protesta e penso che molti internazionali non verranno per questo motivo», afferma Shimri, un refusenik israeliano che dopo aver partecipato a diverse proteste globali negli anni scorsi si sta preparando per venire in Italia con alcuni amici. «Non so quali siano le ragioni di tutta questa confusione, per cui al momento non voglio emettere giudizi».
Ma dietro la prudenza e il rispetto per le decisioni prese nelle assemblee degli ultimi giorni si avverte l'incredulità per quanto poco sia rimasto del movimento anti-globalizzazione ad appena otto anni di distanza da Genova, se non le lacerazioni aperte tra le diverse anime del movimento in Italia e le ferite mai rimarginate di quegli attivisti internazionali che, passati per la "macelleria" della Diaz e di Bolzaneto, si sono ripromessi di non rimettere mai più piede in Italia.

domenica 21 giugno 2009

«No al gasdotto Shell» Resistenza all'irlandese

Dopo nove anni di protesta, che hanno visto decine di feriti gravi, un centinaio di arrestati, imbarcazioni affondate e imbarazzo nel partito verde al governo, è giunto il momento della resa dei conti tra la Royal Dutch Shell, la seconda multinazionale energetica al mondo e gli abitanti di Rossport, un remoto paesino sull'incantevole costa della Contea di Mayo nella costa nord dell'Irlanda. Oggetto del contendere la costruzione del gasdotto del Corrib Gas Project, un giacimento di gas naturale di tre miliardi di metri cubi, situato 80 chilometri al largo della costa per cui la Shell sta completando una raffineria sulla terraferma ed il gasdotto di collegamento.
Dopo anni di battaglie legali, blocchi ai cantieri per mare e per terra, la settimana prossima dovrebbero cominciare i lavori per la posa dell'ultima tratta dei tubi del gasdotto. Ma gli abitanti locali, appoggiati dal movimento ambientalista, dal Labour Party e dal partito irredentista Sinn Fein, ma non dal partito verde che ha lasciato cadere le proprie obiezioni sul progetto dopo l'entrata nel governo nel 2007, non sono disposti ad arrendersi. Attraverso siti, mailing list e interventi sulla stampa hanno invitato i sostenitori ad accorrere al campeggio di protesta per la battaglia finale contro la multinazionale.
A preoccupare gli abitanti di Rossport sono i rischi per la salute e per l'ambiente provocati dalla costruzione del gasdotto e della raffineria. Sotto accusa lo scarico di sostanze tossiche prodotte nella raffinazione del gas naturale nella Broadhaven Bay su cui è affacciata Rossport. A causa della corrente circolare nella baia queste sostanze pericolose rimarrebbero intrappolate nella zona, avvelenando acque dove si riproducono delfini e balene e dove sono state avvistate tartarughe d'acqua, e mettendo in forse il futuro dell'industria della pesca nell'area. Altro motivo di preoccupazione è il tracciato del gasdotto, che passerà ad appena 80 metri dalle case più vicine, in una zona dal terreno instabile e soggetto a frane. A rischio pure le falde acquifere a causa della scarsa sicurezza della cisterna di purificazione delle acque sporche della raffineria cariche di piombo, fosforo, cromo, arsenico, mercurio e radon che potrebbero riversarsi sul terreno circostante nel caso di piogge particolarmente intense. Gli abitanti locali chiedono che il gas naturale sia raffinato in mare così come avviene per un altro giacimento di gas naturale in Irlanda. Ma la Shell non ne vuole sapere.
Il movimento - coordinato alla campagna Shell to Sea - conquistò l'attenzione dei media nel 2005, quando cinque abitanti della zona furono messi in carcere dopo aver violato un'ingiunzione che li invitava a non interferire con la costruzione del gasdotto. Furono liberati dopo 94 giorni sotto richiesta della Shell, preoccupata per la cattiva pubblicità generata dall'evento. Nel 2008 la polizia rispose con veemenza al montare del dissenso, arrestando 43 persone che avevano partecipato alle proteste e installando un contingente permanente nell'area.
A dare manforte alle forze dell'ordine ci hanno pensato gli energumeni della Shell accusati per alcuni episodi di violenza contro i manifestanti. In aprile un manifestante fu attaccato vicino al cantiere della Shell da membri dell'Irms (Integrated Risk Management Service), la compagnia di sorveglianza della Shell. Ed una settimana fa la multinazionale è stata costretta a respingere le accuse di responsabilità per l'affondamento del peschereccio di Pat O' Donnell - uno degli animatori della flotta di protesta messa in piedi dagli abitanti per respingere la posa dei tubi - che fu assaltato alle due di notte da quattro uomini mascherati.
Di fronte a questi episodi di repressione negli ultimi anni gli abitanti di Rossport hanno stretto legami di solidarietà con gli Ogoni del delta del Niger, vittime negli anni '90 di una violenta campagna di repressione sostenuta dalla Shell, che vide nove manifestanti del Mosop (Movement for the Survival of the Ogoni People) finire sul patibolo (tra cui il noto Ken Saro-Wiwa). La multinazionale ha recentemente pagato 15 milioni di dollari di compensazione per quella vicenda, ma vedendo come si sta comportando con gli abitanti di Rossport non sembra aver imparato molto da quella tragedia.

giovedì 18 giugno 2009

Caccia al romeno a Belfast, venti famiglie si rifugiano in chiesa

Slogan razzisti urlati a squarciagola, mattoni e bottiglie che infrangono le finestre, calci che piegano i cardini delle porte, una pistola puntata che intima - «andatevene se non volete morire». Questo il trattamento che ha spinto 114 persone di etnia rom ad abbandonare le proprie case assaltate lunedì notte da un branco di giovani neo-nazisti. La squadraccia che ha rivendicato di essere parte dell'organizzazione terroristica Combat 18 proveniva dalla Village Area, un quartiere nel Sud di Belfast noto per essere un baluardo di gruppi paramilitari unionisti.
Dopo aver trovato rifugio temporaneo in una chiesa, ieri le 20 famiglie sfollate sono state sistemate in un palazzetto dello sport di proprietà del comune. «Questa è una vergogna per la città. Quanto è successo è assolutamente inaccettabile» - ha affermato Naomi Long, sindaco della capitale dell'Irlanda del Nord. «Belfast sta diventando ormai da tempo una città multiculturale. Non possiamo permettere a una piccola minoranza di fermare questo processo». Ma l'ospitalità dell'autorità locale non sembra aver riassicurato le vittime dell'attacco. «Non ho nessuna intenzione di restare a Belfast. Voglio tornare al più presto in Romania», ha dichiarato Maria, una giovane donna che si è improvvisata portavoce del gruppo.
Il gruppo di rom, composto da molti bambini tra cui una neonata di 5 giorni, è ancora traumatizzato dopo una campagna di intimidazione durata due settimane che è culminata, lunedì sera, in un assalto contro la propria abitazione. Ad una manifestazione anti-razzista che era stata convocata in una via vicina per esprimere solidarietà con le famiglie rom, i neo-nazisti hanno risposto passando dalle parole ai fatti e hanno assaltato violentemente l'abitazione in cui si trovavano le famiglie, minacciando anche di tagliare la gola a una bambina di cinque anni.
L'episodio è l'ennesimo segnale del montare dell'intolleranza, nel Regno unito dopo il successo elettorale del British National Party alle elezioni europee, ed in particolare a Belfast, una città tristemente nota per gli scontri tra nazionalisti e unionisti. Negli ultimi anni, alla violenza settaria si sono andati ad aggiungere attacchi contro le comunità immigrate che nel 2004 avevano spinto ilGuardian a definire Belfast «la capitale razzista d'Europa». Svastiche disegnate sui muri, escrementi lasciati sulla soglia di casa, e volantini razzisti inchiodati alla porta, hanno ritmato l'esplosione di questa ondata xenofoba.
Alla crescita degli episodi razzisti si sta sommando pure un ritorno del conflitto tra nazionalisti e unionisti che si era in parte placato dopo la firma degli accordi di pace del Good Friday nel 1998. Ad inizio aprile il giovane cattolico Kevin McDaid fu linciato a Belfast da una folla inferocita di unionisti, dopo la segnalazione di una bandiera irlandese sulla sua abitazione. Ed attacchi violenti contro membri della comunita cattolica sono aumentati dopo il ritorno sulla scena di gruppi paramilitari nazionalisti avvenuti ad inizio marzo, con l'attentato ad una base militare nella contea di Antrim, dove morirono due soldati inglesi e l'uccisione dopo pochi giorni di un poliziottto nella contea di Armagh. Attentati rivendicati rispettivamente dalla Real IRA, e dalla Continuity IRA, due organizzazioni fuoriscite dall'IRA che non rispettano il cessate il fuoco firmato da Gerry Adams undici anni fa.
Di fronte all'aumentare della violenza, un fattore preoccupante e la crescente sovrapposizione tra paramilitari unionisti e gruppi nazisti, tra cui spicca la fantomatica organizzazione Combat 18, i cui slogan sono stati usati nei mesi scorsi anche in attacchi contro i cattolici.

martedì 16 giugno 2009

Guerra in Iraq, Londra indaga a porte chiuse

Un'inchiesta pubblica sulla guerra in Iraq. Però fatta in segreto, si intende. Questa è la paradossale iniziativa lanciata ieri dal primo ministro Gordon Brown per rispondere a chi ormai da anni chiede di chiarire perché il Regno Unito si sia unito all'avventura di Bush in Medio Oriente. «Ora che gli ultimi soldati britannici stanno abbandonando l'Iraq è venuto il momento di imparare alcune lezioni sugli eventi complessi e controversi che hanno segnato gli ultimi anni», ha dichiarato il primo ministro. La commissione di inchiesta che ricostruirà non solo la decisione di entrare in guerra, ma anche la condotta dell'esercito di Sua Maestá durante i sei anni di occupazione e «ricostruzione» del territorio iracheno, sarà modellata sulla commissione Franks che nel 1982 investigò le cause della guerra delle Falkland, il conflitto che salvò la carriera di Margaret Thatcher.
A gestire l'inchiesta sarà un «privy council», una commissione di saggi che intervisterà a porte chiuse diverse persone informate dei fatti tra cui ministri, funzionari dei servizi segreti e generali, e che produrrà una relazione finale che - questa sì - verrà resa pubblica. I saggi nominati da Brown sono la baronessa Usha Prashar, l'ex ambasciatore a Mosca Roderick Lyne, il professore di studi strategici Lawrence Freedman e il biografo di Churchill, Martin Gilbert. Un fior fiore dell'alta societá britannica guidato da Sir John Chilcot, diplomatico di carriera, già parte della commissione respnsabile per la Butler Review, l'inchiesta che nel 2004 cercó di accertare gli errori di intelligence sulle famose armi di distruzioni di massa usate come casus belli e mai rinvenute. Alla fine dei lavori la commissione quella commissione aveva raccomandato al governo di trattare le informazioni ricevute dai servizi segreti con piú attenzione, ma aveva glissato sulle responsabilitá politiche. Un esito edulcorato che rischia di ripetersi anche in questa occasione.
«Ragioni di sicurezza nazionale», ha risposto il primo ministro a chi dai banchi dell'opposizione - e in particolare tra i Liberaldemocratici - si è detto insoddisfatto del mantenimento del segreto di stato su diversi documenti scottanti. Nick Clegg, leader del partito che da tempo si batteva per una commissione di inchiesta sul conflitto, ha affermato che che «al governo non dovrebbe essere permesso di chiudere questa guerra cosí come l'ha aperta: in segreto» e ha rimarcato la propria condanna della guerra in Iraq, definendola «il piú grande errore in politica estera dopo l'invasione del canale di Suez negli anni '50».
Per niente soddisfatta per le modalità con cui il governo ha deciso di imbastire l'inchiesta è anche Stop the War. La coalizione anti-guerra ha convocato ieri pomeriggio di fronte a Westminster una protesta che ha accolto con fischi e boati di disapprovazione l'annuncio dell'apertura della commissione d'inchiesta. In un comunicato diffuso nella giornata, Stop the War ha dichiarato che un'inchiesta pubblica «dovrebbe comprendere la pubblicazione di resoconti delle riunioni di gabinetto e audizioni pubbliche di ministri e funzionari». Documenti che imbarazzerebbero Brown, che stando ad alcune testimonianze, pur avendo titubato durante le ore decisive dell'entrata in guerra, diede il nulla-osta a Tony Blair pur di salvarsi la poltrona di cancelliere dello scacchiere.
La decisione di Brown di lanciare una commissione di inchiesta sulla guerra in Iraq é stata letta nei giorni scorsi come una concessione fatta alla sinistra del partito, che lo ha salvato in extremis non unendosi alla rivolta dei peones del partito che aveva portato Brown sull'orlo della caduta alla vigilia delle disastrose elezioni europee di inizio mese. Ma ancora una volta Brown ha dimostrato di venire meno alle sue promesse di moralizzazione di un sistema politico minato dallo scandalo dei rimborsi gonfiati dei parlamentari. Come ha affermato ieri Clegg, «la scorsa settimana aveva promesso una politica basata sulla responsabilità e sulla trasparenza. Questo era il suo primo test. L'ha fallito».

mercoledì 10 giugno 2009

Forza Nuova e il Bnp, un legame tra leader

Qui in Gran Bretagna dal Belpaese non sono arrivati soltanto vestiti, macchine sportive e «Spaghetti Napolini» ma pure gli indigesti manganelli in olio di ricino del fascismo di Terza Posizione, portati da Roberto Fiore. Il camerata romano ha avuto un'importante influenza su Nick Griffin, il pasciuto leader del partito razzista British National Party, appena eletto al parlamento europeo, uomo capace di mettere assieme tenere cravatte rosa e una scriminatura alla Hitler. Durante la fuga del terrorista dei Nar a Londra i due diventarono amici, compagni d'alloggio, soci d'affari e di complotti in un'organizzazione proto-terroristica parte del partito neo-fascista National Front, predecessore del Bnp negli anni '80.
Questi e altri dettagli inquietanti emergono dagli archivi dei giornali inglesi mentre non si placa l'ondata di vergogna nazionale seguita all'elezione di due candidati del partito di estrema destra al parlamento di Strasburgo. Particolarmente illuminante sul rapporto tra Griffin e Fiore è un articolo pubblicato nel 1998 dall'autorevole mensile antifascista SearchLight, e firmato dal direttore Gerry Gable. Nell'articolo intitolato "Roberto Fiore: da terrorista a imprenditore" Gable afferma che Fiore e Griffin si sarebbero conosciuti nei primi anni 1980, dopo che Fiore era riparato con il camerata Massimo Morsello a Londra, dove avrebbe goduto della protezione di fatto del governo Thatcher che si sarebbe rifiutato di estradarlo per i servigi resi ai servizi segreti di Sua Maestà.
Roberto Fiore divenne presto una specie di mentore politico del giovane Griffin che, convertito alla dottrina di Terza Posizione, si diede da fare per propagandarla oltremanica attraverso la pubblicazione Nationalism Today. Fiore e Morsello si unirono a Griffin, Michael Walker e altri giovani neofascisti di belle speranze per dare vita a un gruppo chiamato Political Soldiers (soldati politici) all'interno del partito di estrema destra National Front, riuscendo a prenderne il controllo. Stando alla ricostruzione di Gable il gruppo - che adottò il macabro slogan di Julius Evola «lunga vita alla morte» - organizzò pure giornate di addestramento in un bosco nel sud dell'Inghilterra. Dopo questa esperienza Griffin partecipo per un certo periodo a un'altra creatura di Fiore, l'organizzazione International Third Position, che propagandava una visione alternativa sia al socialismo che al capitalismo.
Il sodalizio tra Griffin e Fiore non è stato solo politico ma pure economico. Griffin aiutò Fiore e Morsello, che lavorarono come sguatteri e taxisti e avrebbero vissuto per un periodo in uno squat di anarchici, a diventare imprenditori. Fu con l'attuale leader del Bnp e con Walker che Fiore e Morsello si fecero le ossa gestendo alcune imprese, tra cui l'agenzia turistica Heritage Tours. I due camerati cominciarono ad investire nel mercato immobiliare e negli anni '90 diedero vita a Meeting Point Accomodations, un'impresa che a tutt'oggi offre alloggio, lezioni di inglese e opportunità di lavoro a ignari clienti da tutta Europa. Il collegamento tra questa società, Fiore e Forza Nuova è ormai alla luce del sole, dopo inchieste e campagne di boicottaggio. Basti ricordare che per Meeting Point hanno lavorato camerati come Andrea Insabato, il bombarolo della sede del manifesto, e che nel 2005 Andrea Rufino e Giovanni Marion, i fondatori di Easy London, succursale italiana di Meeting Point, furono sbattuti in carcere dopo che fu scoperto un arsenale in via Nomentana a Roma con fucili automatici, lanciarazzi e bombe a mano.
In questi ultimi anni i rapporti tra Forza Nuova e Bnp si sono tutt'altro che interrotti. Simon Darby, esponente di punta del partito razzista, fu accolto da saluti romani al convegno dei fascisti europei, organizzato da Forza Nuova a Milano il 5 aprile scorso. Griffin invece non si e fatto vedere ed è da un po' che il leader nazionalista sembra evitare con dovizia comizi dichiaratamente fascisti come quelli di Forza Nuova e dei nazisti del Npd di Ugo Voigt, impegnato com'è a dare una verniciata di rispettabilità al proprio partito. Il leader del Bnp, che per tutta la campagna elettorale ha negato di essere fascista, si è già preso accuse di traditore da camerati italiani, tedeschi e britannici. Ma le urne sembrano aver premiato l'ipocrisia di Griffin che quanto a strategie elettorali sembra aver superato da tempo il proprio mentore: alle europee il Bnp ha raggiunto il 6% dei voti, dieci volte tanto il migliore risultato della creatura di Fiore che non e mai andata sopra un misero 0,6%.

mercoledì 3 giugno 2009

Porno rimborso, Smith lascia

«Addio a un cattivo politico», «sono proprio contento che se ne vada», «il peggiore ministro dell'interno che abbiamo mai avuto», «Ora si deve dimettere pure da deputato». Le rivelazioni sulle prossime dimissioni del ministro dell'interno Jacqui Smith sono state accolte da espressioni di giubilo sui forum online dei maggior giornali inglesi, dopo che la notizia e rimbalzata dalle parabole di Sky News ai siti Internet del Times e del Guardian. Stando alle indiscrezioni la Smith ha preferito evitare il disonore della cacciata nel rimpastone che Gordon Brown prepara per rimettere in piedi quello che rimarrà del New Labour dopo le elezioni europee e sarebbe pronta a rimettere l'incarico.
La Smith diventa così la vittima più illustre dello scandalo rimborsi spese, che sta facendo traballare le vetuste istituzioni della democrazia inglese. Oltre 80 parlamentari sono stati accusati di usare in maniera discutibile fondi destinati a coprire le spese di lavoro per farsi rimborsare di tutto e di più, da spese di giardinaggio fino alle rate del mutuo. Lo scandalo ha colpito a destra e manca. Oltre a diversi esponenti di spicco del Labour e dei Liberaldemocratici, molti parlamentari conservatori sono stati imbarazzati dalle loro spese di lusso pagate con i soldi dei contribuenti e negli ultimi giorni il loro leader David Cameron - che già pregusta la salita al governo - si e trovato a dover reagire alla pressione dei media sui propri rimborsi spese.
Il ministro dell'interno è diventato un'icona di tutto questo marciume che si annida negli austeri palazzi di Westminster. Del resto ben prima che il mese scorso che rivelazioni a 360 gradi sui rimborsi facili dei parlamentari venissero pubblicate sulle pagine del Daily Telegraph, la stampa popolare aveva rivelato la maniera discutibile con cui il ministro aveva messo spese di ogni tipo a carico di cittadini resi particolarmente suscettibili dalle ristrettezze della crisi economica. A febbraio era venuto fuori come la Smith avesse ottenuto 116.000 sterline di rimborso per spese sulla casa della sorella a Londra. Poi a Marzo lo scandalo creato dai due film porno comprati dal marito e addebitati ai sudditi di sua Maestà, che aveva scatenato comici e vignettisti.
In pochi piangono la partenza di un ministro dell'interno, criticato da tempo per le scelte autoritarie impresse alla politica di sicurezza. In passato la Smith era stata tacciata di stalinismo per la sua pervicacia nell'estendere i controlli di polizia sulle comunicazioni private dei cittadini con la scusa della lotta al terrorismo e per la sua determinazione nell'introdurre la carta d'identità in un paese che la vede come un'intrusione illegittima dello stato nella vita dei cittadini. Con la Smith al ministero dell'Interno il limite per la detenzione preventiva e stato portato a 42 giorni, facendo gridare molti alla fine dell'Habeas Corpus.
Ma l'addio dell'odiata Smith non potrebbe essere sufficiente a placare la rabbia di un opinione pubblica che si sente sempre più distante dalle istituzioni. Durante la campagna elettorale i giornali locali hanno registrato diversi casi di cittadini che mandavano via in malo modo i candidati che erano venuti a bussare alla porta per chiedere il voto. E parlamentari finiti nell'occhio del ciclone sono stati costretti a promettere che non si ricandideranno alla prossime elezioni dopo essere stati accolti da manifestazioni di protesta durante le visite al proprio collegio elettorale.
Dopo la Smith e lo speaker della Camera dei comuni Martin che ha annunciato le dimissioni due settimane fa, potrebbe essere la volta di quello che e di fatto il numero due dell'esecutivo: il cancelliere dello scacchiere Alistair Darling. Il ministro già responsabile di gaffe madornali e criticato per la gestione della crisi economica è stato rimproverato dal primo ministro per aver ottenuto rimborsi su quattro abitazioni differenti, nonostante viva di fianco al primo ministro al numero 11 di Downing Street. Così per il Labour che si appresta ad una batosta di dimensioni storiche nelle elezioni europee del prossimo weekend, dove rischia di arrivare quarto dopo Conservatori, Liberaldemocratici e pure gli anti-europeisti di Ukip, si prepara già il rompicapo del rimpasto. Brown vorrebbe sostituire Darling con il proprio delfino Ed Balls. Per molti blairiani sarebbe uno smacco difficile da digerire. E se la sconfitta alle europee fosse particolarmente pesante potrebbe essere veramente il capolinea per l'esecutivo di Brown. Lo scandalo spese ha costretto a tacere molti dei possibili sfidanti nel partito compromessi da rivelazioni sui propri rimborsi spese, ma la prospettiva di affrontare le prossime elezioni nazionali con un primo ministro infangato da incompetenza e scandali potrebbe finalmente costringere i backbanchers - i parlamentari degli ultimi banchi - alla ribellione.


martedì 2 giugno 2009

La via verde contro la crisi

Le istituzioni del Regno unito attraversano una crisi storica, che sta incrinando l'autorevolezza di conservatori e laburisti, i grandi partiti che si sono palleggiati il controllo del paese in epoca moderna. E ad approfittare di questo sconquasso degli equilibri politici nelle prossime elezioni, non saranno solo i liberaldemocratici di Nick Clegg, gli xenofobi del British National Party di Nick Griffin e gli anti-europeisti dell'Uk Independence Party. Stando agli ultimi sondaggi, questa tornata elettorale potrebbe anche arridere alla sinistra, e potrebbe rappresentare una svolta storica per i Verdi. Questi ultimi sarebbero destinati, secondo gli ultimi sondaggi ad ottenere addirittura il 9% dei voti. Per Caroline Lucas, segretario del partito ecologista, la scadenza elettorale potrebbe rappresentare un trampolino di lancio per portare finalmente rappresentanti verdi al parlamento di Westminster, alle prossime elezioni nazionali.

Stando ai sondaggi questa tornata elettorale potrebbe essere un passaggio storico per il vostro partito. Ma quanto conta veramente l'Europa per portare avanti le politiche che vi stanno a cuore?
L'Europa ha un ruolo fondamentale nella lotta al cambiamento climatico e nello sviluppo di un'economia verde per uscire dalla crisi. Noi proponiamo un Green New Deal, una proposta di economia sostenibile, come soluzione all'attuale impasse economica e pensiamo che questo programma debba essere sviluppato a partire dal parlamento di Strasburgo. L'Unione europea dispone di possibilità di investimento molto più ampie delle singole nazioni, anche grazie alla sua possibilita di accesso ai fondi della Banca centrale europea. Questo e un programma che viene sostenuto non solo da noi verdi inglesi ma dal gruppo dei verdi al parlamento europeo.

Lei e veramente convinta che questo tipo di programma sia in grado da solo di fermare la crisi economica e creare nuovi posti di lavoro?
Il Green New deal e un riconoscimento del fatto che non stiamo affrontando una singola crisi ma ci troviamo di fronte a crisi molteplici. Oltre alla crisi economica, siamo di fronte ad una crisi ecologica ed una crisi energetica. Queste tre crisi sono profondamente correlate e se noi non le affrontiamo assieme rischiamo di non riuscire a risolverne nessuna. Il Green New Deal parte dall'idea che la maniera migliore per creare nuovi posti di lavoro e mantenere i posti di lavoro esistenti sia l'investimento in energie alternative, e la creazione di green collar jobs (lavori dei colletti verdi). Dato che il governo inglese sta mettendo tanti soldi nell'economia, noi siamo dell'idea che dovrebbe metterli nelle aree dove si potrebbero rivelare piu produttivi. Per questo motivo vorremmo vedere investimenti consistenti in energie rinnovabili ed in efficienza energetica. Questo perché l'energia alternativa e molto piu efficace nella creazione di posti di lavoro di quanto sia la produzione di energia da carburanti fossili. Purtroppo i governi europei sembrano molto più interessati a far ripartire l'industria nucleare. Questa è una scelta sbagliata se l'obiettivo e creare posti di lavoro. Ci sono dati secondo i quali l'industria nucleare produrrebbe solo 70 posti di lavoro all'anno per Watt/ora mentre con le energie alternative il numero di posti di lavoro sarebbe tra 900 e 2000.

L'avvento della crisi economica sembra avervi spinto a riadattare le vostre proposte, mostrando anche l'aspetto positivo in termine economico di proposte ecologiste...
Sono cambiati i messaggi che noi adottiamo ed è mutato il linguaggio. Noi siamo piu che mai convinti dell'importanza della lotta al cambiamento climatico, il quale - continuiamo a credere - rappresenta la più grande minaccia che ci troviamo di fronte. Ma quanto ai messaggi che riescono a raggiungere meglio il pubblico è meglio sottolineare l'importanza della lotta al cambiamento climatico per creare nuovi posti di lavoro piuttosto che come una cosa a se stante. Per molti il cambiamento climatico continua a rimanere una minaccia lontana e per questo motivo è importante sottolineare le conseguenze piu immediate di una politica contro il cambiamento climatico.

Alla vigilia di queste elezioni lei ha spesso parlato di una maturazione dei Verdi inglesi. Ha in mente un processo simile a quello intrapreso dai Verdi tedeschi prima di salire al governo?
No, èun processo differente. Come risultato del loro processo di maturazione i Verdi tedeschi hanno modificato anche la loro piattaforma politica. Questo non e il nostro caso. Cambiare programma non e qualcosa che noi intendiamo fare. Noi manterremo il nostro programma e i nostri ideali ma allo stesso tempo intendiamo modificare la maniera con cui ci relazioniamo con la gente comune.

Mentre al parlamento europeo grazie al sistema proporzionale riuscite ad eleggere rappresentanti, in Gran Bretagna siete tenuti fuori dal parlamento a causa del sistema maggioritario. Qual e la vostra strategia per rispondere a questa situazione?
Quello che vogliamo fortemente e riuscire a entrare finalmente a Westminster. Ma certamente entrare nelle autorità locali, nei consigli comunali e nelle assemble regionali è stata una parte importante della nostra strategia in questi anni. In particolare in Inghilterra dove i media sono cosi concetrati su quello che succede al parlamento nazionale, per avere un impatto sul dibattito pubblico e fondamentale fare breccia a Westminster. Alle prossime elezioni nazionali abbiamo tre collegi elettorali che speriamo di riuscire a portare a casa. Uno di questi college e quello di Brighton Pavillion dove io sono la candidata. A Brighton alle ultime elezioni locali siamo arrivati primi con oltre il 30 per cento dei voti. Osservatori indipendenti prevedono che otterremo la nostra prima vittoria in parlamento in quel collegio. Questa vittoria potrebbe essere una svolta fondamentale nella storia delnostro partito.