sabato 27 novembre 2010

Irlanda: 100.000 in marcia contro il salvataggio lacrime e sangue

Tutti si chiedevano perché gli irlandesi non si ribellassero al tentativo di far pagare ai lavoratori le follie del sistema bancario. Ieri dall'isola verde smeraldo è arrivato il primo segnale di risveglio, quando in più di 100.000 (in un paese di 4 milioni e mezzo di persone) hanno marciato per le strade di Dublino per protestare contro il «piano di rigore» messo a punto dal governo di Brian Cowen come contropartita al prestito da 85 miliardi promesso dal Fondo monetario internazionale (Fmi) e dalla Banca centrale europea (Bce).
La manifestazione, indetta dalla confederazione dei sindacati irlandesi (Ictu), ha costeggiato il fiume Liffey che attraversa la capitale, per arrivare davanti all'ufficio centrale delle poste in O' Connell Street, dove nel 1916 fu dichiarata l'indipendenza dell'Irlanda. Nel corteo, lavoratori, studenti, pensionati, uniti contro il piano di austerità da 15 miliardi del governo che prevede l'eliminazione di 25.000 posti di lavoro nel settore pubblico, tagli a sussidi per la disoccupazione e assegni familiari, con il rischio di ridurre il prodotto interno lordo del 4%. Il tutto per accontentare Fmi e Bce, pronte a fornire 50 miliardi per consolidare il debito pubblico e 35 miliardi per stabilizzare i bilanci delle grandi banche dell'isola, sull'orlo del fallimento a causa dei mutui spazzatura.

«C'è una via migliore e più giusta» rispetto a quella proposta dal governo, affermavano centinaiai di cartelli gialli agitati tra il risuonare delle cornamuse da una folla da cui sono piovuti insulti contro l'impopolare premier Cowen ed il ministro delle finanze Lenihan. Nonostante il freddo pungente, la manifestazione ha superato le previsioni della vigilia in un paese non abituato alla politica di piazza. Uno spezzone di circa 500 persone ha raggiunto il Dail, la camera dei deputati, dove ci sono state alcune scaramucce della polizia e un'immagine di Cowen è stata data alle fiamme.
«Diverse generazioni di irlandesi pagheranno le conseguenze del debito» contratto dal governo, ha dichiarato il presidente della Ictu Jack O' Connor, nel comizio finale in cui diversi rappresentanti dei sindacati sono stati fischiati dalla folla, per non aver fatto abbastanza contro la politica del governo. Il segretario David Begg ha paragonato il governo a Dick Turpin, il celebre bandito inglese del '700. «Almeno Turpin quando rubava si copriva il volto», ha ironizzato Begg.

Mentre i manifestanti inondavano le strade della capitale, Cowen era in trattative con una delegazione del Fmi e della Bce per ultimare i dettagli del piano di salvataggio. Stando a indiscrezioni, al megaprestito, che verrà presentato la prossima settimana, verrebbe applicato un tasso d'interesse di oltre il 6%, ben superiore al 5,5% previsto in partenza. Se così fosse sarebbe l'ennesima umiliazione per Cowen, la cui maggioranza al Dail si è ridotta a due deputati, dopo che venerdì il Sinn Fein ha vinto le elezioni suppletive a West Donegal.

martedì 23 novembre 2010

Il salvataggio da 90 miliardi abbatte il governo Cowen

DUBLINO. Ventiquattro ore. Tanto è passato tra la richiesta di un megaprestito fatta dal primo ministro irlandese Brian Cowen del Fianna Fail e l'implosione del suo impopolare governo. Dopo l'annuncio, fatto domenica notte, del lancio di un piano di salvataggio da 90 miliardi di euro, sponsorizzato dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca centrale europea, ieri sera il primo ministro, sotto pressione da parte degli alleati Verdi, è stato costretto a promettere lo scioglimento del parlamento dopo la discussione della finanziaria in parlamento il prossimo 7 Dicembre.

«Nell'interesse degli elettori non possiamo permetterci ritardi né dubbi sui passi necessari da intraprendere per assicurare il nostro futuro economico e finanziario» ha dichiarato Cowen nella serata ieri. Poi il primo ministro si è appellato a tutte le forze politiche nel chiedere l'approvazione della finanziaria, per «non arrecare ulteriori danni al paese». Ma ora anche la finanziaria da 4 miliardi di tagli, e l'annesso piano di aggiustamento da 15 miliardi, che verranno discussi il 7 dicembre rischiano di saltare, dopo alcune defezioni annunciate ieri da parte di alcuni deputati che sostenevano una maggioranza già molto risicata, mentre gli speculatori sono tornati all'attacco dei buoni del tesoro irlandesi.

L'annuncio di Cowen è arrivato dopo che nella prima mattinata di ieri i Verdi, che da quattro anni sono al governo con il Fianna Fail, avevano chiesto elezioni anticipate pur promettendo l'approvazione della finanziaria per «senso di responsabilità verso i cittadini irlandesi». «I cittadini si sentono ingannati e traditi» aveva affermato John Gormley, ministro dell'ambiente e leader del partito, decisivo per la maggioranza dell'esecutivo in parlamento denunciando di essere stato tenuto all'oscuro del piano di salvataggio. La crisi di governo è scatenata dopo che domenica notte il primo ministro Brian Cowen e il ministro delle finanze Lenihan avevano infine ammesso ufficialmente quello che tutti già sapevano. Il piano di salvataggio finanziaria si farà: per «garantire liquidità al sistema bancario» e «stabilizzare l'economia». Quanto alla cifra i due hanno solo lasciato intendere che sarà di poco inferiore a 100 miliardi sterline, molto i più dei 60 o 80 miliardi di cui si parlava solo la settimana scorsa. Subissati dalle domande dei giornalisti Cowen e Lenihan non hanno concesso nessuno scusa. «Mi spiace che le persone pensino che le ho ingannate - si è limitato ad affermare Lenihan -. Di sicuro io non le ho ingannate e nemmeno il governo lo ha fatto». Sulla stessa linea il primo ministro Cowen che ha risposto: «Non sono l'uomo nero che state cercando» a Vincent Browne dell'Irish Times che gli aveva chiesto se non si sentiva responsabile per aver «fottuto» il paese.
Ora tutta l'attenzione è focalizzata sul 7 dicembre, quando il governo presenterà in parlamento la finanziaria e l'annesso piano di aggiustamento quadriennale che il governo considera vitale per ristabilire la fiducia nei mercati finanziari. Ma al governo di Cowen che controllava solo 82 deputati contro i 79 dell'opposizione, potrebbero mancare i numeri dopo che ieri i deputati indipendenti Lowry e Healy-Rae, che sostenevano il governo hanno lasciato intendere che voteranno contro, e se - come tutti prevedono - il Fianna Fail perderà un altro deputato alle elezioni suppletive di giovedì prossimo a West Donegal.
Per l'Irlanda, in cui ieri sono esplose le proteste, ora si preannuncia un periodo politico di instabilità con gli speculatori finanziari che sono tornati ad attaccare i buoni del tesoro irlandese, schizzati verso l'alto dopo l'annuncio del piano di salvataggio e l'apertura della crisi di governo. Le elezioni previste per il prossimo gennaio potrebbero segnare un ritorno al governo dei laburisti, che ieri con il loro leader Eamon Gilmore hanno affermato che il governo «aveva ormai da tempo superato la data di scadenza».

«Salvano banche fallite, e frenano ogni ripresa» - Intervista con Kieran Allen

DUBLINO. Per l’Irlanda si prospetta un «terremoto politico» dopo il megaprestito concesso da Fondo monetario internazionale (Fmi) e Banca centrale europea. A prevederlo è il sociologo Kieran Allen, che già prima della crisi aveva denunciato i rischi della bolla immobiliare e della finanziarizzazione dell’economia nell’isola. «I cittadini irlandesi sono stati traditi per salvare il sistema bancario europeo, che è l’unica cosa che preoccupi la Banca centrale europea», afferma Allen. Che aggiunge: «Quello che sta succedendo in Irlanda deve servire da avvertimento a Portogallo, Spagna e Italia. Gli speculatori non si fermeranno qui».

90 miliardi di euro di prestito. Sono 20.000 euro per ogni cittadino irlandese, neonati compresi. È un debito sostenibile per l’Irlanda?

Non solo non è sostenibile ma non funzionerà. I cittadini irlandesi hanno già pagato 45 miliardi di euro, un terzo del Pil, per salvare le banche con il programma del governo. Questo piano di salvataggio aggiunge al conto 90 miliardi di euro, altri due terzi della ricchezza prodotta in un anno dal paese. L’Fmi e la Banca centrale europea in questo modo rendono più difficile la strada verso la ripresa, scaricando sulla collettività i debiti di banche destinate al fallimento.

Quali saranno le conseguenze di lungo termine di questa operazione?

In cambio del prestito, Fmi e Unione europea imporranno una politica restrittiva che non farà altro che peggiorare la situazione economica, con il rischio di scatenare una spirale negativa senza via d’uscita. Come successo durante la crisi degli anni ’60 e della fine anni ’80, ancora una volta il sistema capitalista irlandese si rifà sui lavoratori e condanna il paese all’emigrazione di massa. Per sapere cosa succederà all’Irlanda nei prossimi anni, basta guardare a Lituania e Lettonia, da cui la gente è fuggita dopo il lancio di piani di aggiustamento strutturale.

Con l’uscita dei Verdi dalla maggioranza le elezioni anticipate, previste a gennaio, sembrano inevitabili. Che succederà alla politica irlandese?

Quello che ci attende è un cambiamento epocale simile a quello che è successo in Italia con la fine della Prima repubblica. Il Fianna Fail, il partito di governo, ha dominato la politica irlandese per gli ultimi 60 anni, presentandosi come un amministratore oculato dell’economia. Ma dopo il disastro servito agli elettori saranno puniti pesantemente e rischiano di diventare un partitino sotto il 10%. Neppure bene andrà ai Verdi che si sono comportati in maniera assolutamente vigliacca, appoggiando tutte le scelte più impopolari del governo e abbandonando solo all’ultimo la nave che affonda.


È un’occasione per la sinistra per costruire un’alternativa economica al neoliberalismo made in Ireland?

Tutti prevedono che dopo le prossime elezioni, il Labour Party tornerà al governo, e probabilmente al suo interno la componente di sinistra, marginalizzata negli ultimi anni ne uscirà rafforzata. Ma temo che una volta al governo il Labour si comporterà come ha fatto il Pasok in Grecia. Si legherà mani e piedi al programma imposto dall’Fmi. Così questa rischia di essere un’occasione persa dalla sinistra irlandese per ripensare il nostro modello economico distrutto dal sistema bancario dei mutui spazzatura.

sabato 20 novembre 2010

Una generazione in fuga dalla crisi

«Prima venivano tutti qui, da Canada, Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa ed Europa dell'est. Ora il flusso ha preso il verso contrario. Gli immigrati se ne sono già tornati a casa e a seguirli in massa ora sono gli irlandesi disposti a fare qualsiasi lavoro». Albert ha ventun'anni e la scorsa settimana è stato licenziato in tronco insieme a dieci colleghi da un negozio della catena Laura Ashley, che vende arredamento e abbigliamento femminile, sulla opulenta Grafton Street nel centro di Dublino.

«Molti miei amici sono già partiti per l'estero - racconta -. Io me ne vado in Nuova Zelanda, ho già comprato il visto. Sono disposto a fare qualsiasi cosa. Gli irlandesi non si possono più permettere di scegliere il lavoro che gli piace».
In giro per la capitale e per le strade delle città e dei paesi dell'isola «verde smeraldo» di gente come Albert, che si prepara a lasciare un paese vittima della catastrofe economica provocata dalle banche dai mutui facili, ce ne sono a fiumi. Secondo uno studio condotto dall'Economic and social research institute (Esri), ogni mese 5.000 cittadini irlandesi abbandonano il paese per cercare lavoro all'estero. A fine 2010, 70.000 persone avranno lasciato l'Irlanda. Nel 2011 saranno almeno 50.000. Così, mentre gli effetti sociali della crisi diventano sempre più evidenti, sul paese del quadrifoglio incombe minaccioso uno spettro che ha da queste parti ha sempre accompagnato i periodi di povertà: l'emigrazione di massa.
Nel 2008 e nel 2009, dopo lo choc iniziale dell'esplosione della crisi delle banche e del settore immobiliare, ad abbandonare il paese erano soprattutto i lavoratori stranieri venuti in Irlanda durante il periodo delle vacche grasse. Secondo l'Esri 100.000 lavoratori stranieri, tra cui molti dell'Europa dell'Est, hanno abbandonato il paese nel biennio. Ma ora sono soprattutto gli irlandesi a fare la valigia, per evitare di andare ad allungare le fila dei disoccupati, che negli ultimi mesi hanno raggiunto quota 640.000 persone.
«Ormai per i giovani irlandesi ci sono solo due possibilità lasciare il paese o diventare disoccupati» afferma Gary Redmond, presidente del sindacato studentesco Union of Students (Usi). «Sembra di rivedere quello che succedeva durante i periodi di grande povertà, come alla fine degli anni '80». Uno studio condotto dall'organizzazione prevede che nei prossimi cinque anni 150.000 laureati abbandoneranno l'Irlanda. «Stiamo creando una generazione perduta. Il nostro paese ha speso tanti soldi per formare queste persone. Molte non torneranno mai a casa».
La fuga in massa dei lavoratori, e in particolare dei giovani da quel paese che fino a tre anni fa si fregiava del titolo di «tigre celtica» non è solo una fuga di cervelli, di laureati, ma anche una fuga di braccia, di tecnici e manovali. In partenza, verso i paesi del Commonwealth, dove l'economia va meglio, ci sono anche schiere di carpentieri, muratori, meccanici, saldatori, agenti immobiliari rimasti a secco, dopo che la bolla immobiliare è scoppiata, e più della metà delle imprese legate all'edilizia sono fallite.
«Molti miei amici che facevano i muratori se ne sono andati in Australia e Canada» racconta Mark, 23 anni, e un passato come lavoratore edile. «Io sono appena tornato dal Canada, dove sono stato alcuni mesi. Lavoravo in un cinema a staccare i biglietti, ma poi mi è venuta nostalgia. Sono sei mesi che cerco lavoro e non trovo niente. Mi sa che presto devo ripartire».
Il timore è che la fuga dei lavoratori e in particolare dei più giovani rallenti ulteriormente l'uscita dal disastro economico. «Molti se ne vanno dall'Irlanda con l'idea di trovare un lavoro temporaneo all'estero per qualche mese. E quando tornano hanno solo pochi euro messi da parte e vedono che nel frattempo il paese è peggiorato ulteriormente» afferma Karen, una studentessa di 19 anni.
Ma per molti non sembra esserci alternativa alla fuga. «Io gliel'ho detto a mio figlio di andarsene» afferma infuriato Rob, un taxista di 49 anni. «Ha 70.000 euro di debito con le banche e fa fatica a pagare. Vattene in Nuova Zelanda, gli ho detto. Lì in banchieri non ti trovano più al telefono. Così la smettono di chiederti perché non hai pagato l'ultima rata del mutuo».

mercoledì 17 novembre 2010

Londra non ci sta

«Possiamo essere per Cameron quello che la rivolta contro la poll-tax è stato per la Thatcher». Gli animi sono infiammati all’assemblea della rete «Education activist network», che riunisce studenti e professori in lotta contro i tagli. Tra i banchi dell’aula magna del King’s College, sulla centralissima Strand a Londra, gli applausi scrosciano calorosi ogni volta che un oratore fa quadrato nel difendere l’invasione della sede dei conservatori a Millbank di mercoledì scorso, mentre boati risuonano ogni volta che qualcuno pronuncia la parola «violenza».
La parola d’ordine è «unità». La linea: i violenti sono loro, freghiamocene della cattiva stampa. Il più cauto è Alan Whitaker, presidente del sindacato dei professori universitari, University and College Union (Ucu), che si limita a dire che lui i fatti di mercoledì scorso «non li condanna», fatta eccezione per l’estintore tirato dal tetto del palazzo. Decisamente più caldo Mark Bergfeld, consigliere nazionale del sindacato degli studenti, National Union of Students (Nus), afferma che i «veri vandali non sono quelli che hanno rotto un paio di finestre, ma quelli che siedono in parlamento o a Millbank e i Liberaldemocratici che hanno tradito le promesse».
Il grande assente è Aaron Porter, il presidente del sindacato studenti, che non si fa vedere da queste parti dopo aver definito in televisione l’occupazione di Millbank «l’azione vergognosa» di una «minoranza di facinorosi». I fischi della platea vanno a lui, accusato di voler far carriera nel partito laburista. A Downing Street che ha definito «irresponsabili» i docenti del Goldsmiths che in un comunicato avevano applaudito come «magnifici» gli eventi di mercoledì. E alla stampa di destra accusata di alimentare una caccia alle streghe contro gli studenti. Il pensiero vola agli studenti italiani, francesi e tedeschi in mobilitazione contro le politiche di tagli all’università, che ora non vengono più guardati con complesso d’inferiorità. «C’è uno spirito francese nell’aria» proclama uno studente.
Dopo la grande manifestazione contro i tagli all’università del 10 di Novembre, culminata nell’occupazione e nella devastazione della sede del partito Conservatore, a Millbank sulle sponde del Tamigi, il movimento studentesco britannico non si ferma. Mentre in Italia gli studenti ultimavano i preparativi per la grande manifestazione di oggi contro la riforma Gelmini, gli atenei della Gran Bretagna hanno visto decine di assemblee per discutere i prossimi passi della mobilitazione contro i tagli all’università.
La protesta riesploderà mercoledì 24 Novembre, quando la riforma sarà in discussione in parlamento. Gli attivisti vogliono fermare il provvedimento che prevede l’eliminazione completa dei sussidi statali per la didattica universitaria fatta eccezione per le materie scientifiche e tecnologiche, ed un aumento delle tasse universitarie fino a 9.000 sterline all’anno. Nella mattinata studenti e professori abbandoneranno le classi dando vita a scioperi selvaggi ed occupazioni. Poi alle due di pomeriggio partirà un assedio contro la sede del partito Liberaldemocratico, a due passi da Westmintster, per far pagare il «tradimento» al partito di Clegg, che aveva promesso di opporsi agli aumenti delle rette per l’università. In vista della protesta del 24 nei campus inglesi sono cominciate una serie di occupazioni, come successo nei giorni scorsoi alla Sussex University e alla Manchester University, che si prevede moltiplicheranno nei prossimi giorni.
Per studenti come Sean, studente di storia al Goldsmiths il ritrovato antagonismo degli studenti «è una sorpresa gradita, una dimostrazione che gli studenti non si faranno mettere i piedi in testa». Ma non tutti sono d’accordo. «Le azioni di una minoranza di studenti hanno oscurato quelle di molte persone che erano alla loro prima manifestazione» afferma Luka, studentessa di antropologia alla London Schools of Economics. «Molti studenti sono irritati e confusi per quello che è successo mercoledì scorso. Sarà difficile ripetere quello spirito di entusiasmo».
Per evitare l’isolamento, i leader del movimento puntano a un’alleanza che comprenda i sindacati dei pompieri e dei lavoratori della metropolitana che hanno organizzato grandi proteste nelle ultime settimane, ed i sindacati dei lavoratori pubblici. Mark Serwotka segretario del sindacato Pcs, che annovera 320.000 iscritti tra gli impiegati pubblici ha firmato l’appello per l’unità e si è detto disponibile a proteste congiunte. Dichiarazioni di sostegno sono giunte anche dal sindacato degli insegnanti Nut, e si spera che l’alleanza si allarghi progressivamente a tutti i settori colpiti dai tagli. Tanto che in alcune assemblee qualcuno ha pure azzardato un’improbabile alleanza con i sindacati di polizia. In fondo «non verranno anche loro decimati dai tagli?».

venerdì 12 novembre 2010

Cameron se la prende con i disoccupati

Mentre gli operai sono al lavoro per sostituire le vetrine del grattacielo di Millbank, sede dei Tory, distrutte mercoledì da centinaia di studenti infuriati per i tagli all'università, il governo Cameron procede nella sua campagna di lacrime e sangue. Questa volta l'accetta cala sul welfare, per cui l'esecutivo liberal-conservatore ha in serbo una «riforma storica», fatta di una stretta al bilancio per la spesa sociale e di punizioni esemplari contro i disoccupati «scrocconi».

Il piano presentato ieri dal ministro del welfare Ian Duncan Smith ai Commons, promette un futuro da incubo per i 5 milioni di britannici che ricevono sussidi di diverso tipo, da quelli per la disoccupazione, a quelli per malattia e invalidità. La riforma che dovrebbe entrare in vigore nel 2013, prevede innanzitutto di accorpare i diversi sussidi al momento presenti in un unico «credito universale». Stando al governo questa misura permetterebbe di evitare errori amministrativi e truffe da parte dei cittadini.
Ian Duncan Smith si è detto convinto che molti disoccupati continuino ad esserlo perché non gli conviene lavorare, grazie ai lauti sussidi che ricevono. «Voglio recuperare queste persone», ha affermato il ministro, promettendo che d'ora in poi «converrà sempre di più lavorare». Per eliminare la «trappola dei sussidi», che frenerebbe quel milione e mezzo di britannici che non hanno mai lavorato negli ultimi 9 anni, Ian Duncan Smith prevede punizioni draconiane. Dopo due dinieghi ad offerte di lavoro o a richieste di contribuire a lavori per la comunità (simili ai
nostri lavori socialmente utili), ai disoccupati verranno sospesi i sussidi per sei mesi. E se diranno no una terza volta l'assegno di disoccupazione verrà cancellato per tre anni.
Lo spirito della riforma del welfare proposta da Ian Duncan Smith suona fortemente punitivo in tempi di disoccupazione alle stelle. Ma il piano del ministro del welfare si sposa alla perfezione con la campagna di propaganda lanciata negli ultimi mesi dal governo contro i «poveri immeritevoli». «Scrocconi» che vengono oramai additati dalla destra come i veri responsabili della crisi economica e del dissesto delle finanze pubbliche. Più degli «avidi banchieri» della City, contro cui fino a pochi mesi fa si concentrava l'odio popolare.
Con questa riforma il governo punta a risparmiare a regime 5 miliardi di sterline. Ma per le organizzazioni non-governativei risparmi in bilancio andranno a scapito delle famiglie più deboli, che spesso vivono in aree in cui è praticamente impossibile trovare lavoro. Per Kate Wavering, direttrice della campagna contro la povertà della Ong Oxfam «rimuovere i sussidi e lasciare le persone senza reddito causerà forti sofferenze per loro e per le loro famiglie. La maggioranza delle persone che vivono di sussidi desiderano lavorare, e punirle come se fossero criminali non
è il modo giusto per trattarli».

giovedì 11 novembre 2010

"Education cuts...?" 50mila studenti londinesi assaltano la Millbank Tower

Vetrine che cadono in frantumi, sotto i colpi di sassi, bastoni, e calci, con i cocci che finiscono sull'asfalto illuminati dal bagliore arancione dei fumogeni e dalle fiamme di un falò alimentato da cartelli e striscioni. Un ostacolo che si infrange sotto la pressione di una folla infuriata, che si fa largo tra poliziotti sguarniti e impauriti e invade l'entrata dell'edificio lanciando grida di gioia e improvvisando danze scalmanate tra poltrone e schermi a cristalli liquidi. Non siamo ai piedi dell'Acropoli, nell'Atene in stato di sommossa permanente, ma a Londra, sulle algide sponde del Tamigi, all'entrata del cupo grattacielo di Millbank, sede del Partito conservatore al governo da poco meno di un anno. È contro questo simbolo della politica di austerità, che migliaia di studenti britannici si sono scagliati ieri pomeriggio, al termine di una grande manifestazione contro i tagli all'università che ha visto la partecipazione di almeno 50 mila persone.

In conclusione di una giornata storica, e una mobilitazione con pochi precedenti in un paese in cui il movimento studentesco è stato tradizionalmente più debole di quello del continente, un gruppo di alcune migliaia di manifestanti ha circondato la sede dei Tory. In duecento sono riusciti ad occupare l'atrio, e una trentina si è inerpicata fino al tetto del palazzo da cui hanno calato striscioni contro il programma di tagli all'università. Solo dopo quattro ore reparti di agenti anti-sommossa sono riusciti a riprendere il controllo della situazione sgomberando l'edificio. In serata la polizia conterà una ventina di feriti tra manifestanti e agenti.

La manifestazione partita a mezzogiorno di fronte a Downing Street, era stata indetta dalla Ucu (University and College Union), il sindacato dei professori universitari, e dalla Nus (National Union of Students), il sindacato unitario degli studenti. Obiettivo: fermare il progetto di tagli da oltre 3 miliardi di sterline al sistema universitario britannico e il piano di aumento delle tasse per gli studenti per cui il governo di coalizione di Conservatori e Liberaldemocratici vuole innalzare il limite massimo a quota 9 mila sterline all'anno.

Nel corteo che passa davanti alle sedi del potere di Wesminster, tra pupazzi di avvoltoi giganti, e volti insanguinati stile Halloween, impazzano gli slogan contro i Tory «schifosi» e contro Clegg il leader dei liberaldemocratici bollato come «traditore». Sally una studentessa ventenne dell'università di Nottingham brandisce un cartello che reca una foto dell'attuale vice-primo ministro libdem quando alla vigilia delle elezioni firmò la promessa che si sarebbe opposto all'aumento delle tasse universitarie. «Aveva promesso di essere diverso. Si è dimostrato bugiardo come gli altri politici se non peggio». Sara, una studentessa al Camberwell College of Arts, è venuta alla manifestazione per protestare contro la decisione di tagliare completamente i fondi alla didattica per le materie umanistiche e sociali - «chi l'ha detto che il paese ha bisogno solo di ingegneri e scienziati?».

A fianco degli studenti molti professori, che rischiano di perdere il posto di lavoro, a causa del piano di riforma. Per Kirsten che sta finendo il dottorato in studi culturali al Goldsmiths College «a pagare più di tutti saranno i giovani ricercatori. Dopo la fatica del dottorato rischio di trovarmi senza lavoro. Stanno trasformando l'educazione universitaria in un grande McDonald».

Gli scontri con la polizia cominciano quando verso le due in duecento valicano il recinto del parlamento, e inscenano un sit-in ai piedi del Big Ben. La polizia che aveva preso sotto gamba la manifestazione, come ammesso in serata dal direttore di Scotland Yard Paul Stephenson, fa fatica a tenerli a bada. Poi verso le due e mezza circa diecimila persone riescono a raggiungere il grattacielo di Millbank dove si trova la sede dei Tory. Né il servizio d'ordine della manifestazione, né i pochi poliziotti messi a guardia dell'edificio riescono ad evitare l'occupazione da parte del blocco più militante del corteo, da cui in serata si dissocieranno gli organizzatori della protesta.

Il successo della manifestazione di ieri è una pessima notizia per Cameron che pure in Cina, dove si trova in visita ufficiale, ha dovuto rispondere a critiche contro il piano di riforma dell'università. I liberaldemocratici, la cui sede è stata presa di mira da alcuni manifestanti si trovano in grandissimo imbarazzo dopo il voltafaccia nei confronti degli studenti. Una ventina di parlamentari libdem hanno annunciato che voteranno contro il piano di riforma quando verrà discusso ai Commons a fine mese. E se il fronte del no dentro i libdem guadagnasse nuovi aderenti per la coalizione Lib-Con potrebbe essere una sconfitta pesantissima e forse l'inizio della fine.