mercoledì 17 novembre 2010

Londra non ci sta

«Possiamo essere per Cameron quello che la rivolta contro la poll-tax è stato per la Thatcher». Gli animi sono infiammati all’assemblea della rete «Education activist network», che riunisce studenti e professori in lotta contro i tagli. Tra i banchi dell’aula magna del King’s College, sulla centralissima Strand a Londra, gli applausi scrosciano calorosi ogni volta che un oratore fa quadrato nel difendere l’invasione della sede dei conservatori a Millbank di mercoledì scorso, mentre boati risuonano ogni volta che qualcuno pronuncia la parola «violenza».
La parola d’ordine è «unità». La linea: i violenti sono loro, freghiamocene della cattiva stampa. Il più cauto è Alan Whitaker, presidente del sindacato dei professori universitari, University and College Union (Ucu), che si limita a dire che lui i fatti di mercoledì scorso «non li condanna», fatta eccezione per l’estintore tirato dal tetto del palazzo. Decisamente più caldo Mark Bergfeld, consigliere nazionale del sindacato degli studenti, National Union of Students (Nus), afferma che i «veri vandali non sono quelli che hanno rotto un paio di finestre, ma quelli che siedono in parlamento o a Millbank e i Liberaldemocratici che hanno tradito le promesse».
Il grande assente è Aaron Porter, il presidente del sindacato studenti, che non si fa vedere da queste parti dopo aver definito in televisione l’occupazione di Millbank «l’azione vergognosa» di una «minoranza di facinorosi». I fischi della platea vanno a lui, accusato di voler far carriera nel partito laburista. A Downing Street che ha definito «irresponsabili» i docenti del Goldsmiths che in un comunicato avevano applaudito come «magnifici» gli eventi di mercoledì. E alla stampa di destra accusata di alimentare una caccia alle streghe contro gli studenti. Il pensiero vola agli studenti italiani, francesi e tedeschi in mobilitazione contro le politiche di tagli all’università, che ora non vengono più guardati con complesso d’inferiorità. «C’è uno spirito francese nell’aria» proclama uno studente.
Dopo la grande manifestazione contro i tagli all’università del 10 di Novembre, culminata nell’occupazione e nella devastazione della sede del partito Conservatore, a Millbank sulle sponde del Tamigi, il movimento studentesco britannico non si ferma. Mentre in Italia gli studenti ultimavano i preparativi per la grande manifestazione di oggi contro la riforma Gelmini, gli atenei della Gran Bretagna hanno visto decine di assemblee per discutere i prossimi passi della mobilitazione contro i tagli all’università.
La protesta riesploderà mercoledì 24 Novembre, quando la riforma sarà in discussione in parlamento. Gli attivisti vogliono fermare il provvedimento che prevede l’eliminazione completa dei sussidi statali per la didattica universitaria fatta eccezione per le materie scientifiche e tecnologiche, ed un aumento delle tasse universitarie fino a 9.000 sterline all’anno. Nella mattinata studenti e professori abbandoneranno le classi dando vita a scioperi selvaggi ed occupazioni. Poi alle due di pomeriggio partirà un assedio contro la sede del partito Liberaldemocratico, a due passi da Westmintster, per far pagare il «tradimento» al partito di Clegg, che aveva promesso di opporsi agli aumenti delle rette per l’università. In vista della protesta del 24 nei campus inglesi sono cominciate una serie di occupazioni, come successo nei giorni scorsoi alla Sussex University e alla Manchester University, che si prevede moltiplicheranno nei prossimi giorni.
Per studenti come Sean, studente di storia al Goldsmiths il ritrovato antagonismo degli studenti «è una sorpresa gradita, una dimostrazione che gli studenti non si faranno mettere i piedi in testa». Ma non tutti sono d’accordo. «Le azioni di una minoranza di studenti hanno oscurato quelle di molte persone che erano alla loro prima manifestazione» afferma Luka, studentessa di antropologia alla London Schools of Economics. «Molti studenti sono irritati e confusi per quello che è successo mercoledì scorso. Sarà difficile ripetere quello spirito di entusiasmo».
Per evitare l’isolamento, i leader del movimento puntano a un’alleanza che comprenda i sindacati dei pompieri e dei lavoratori della metropolitana che hanno organizzato grandi proteste nelle ultime settimane, ed i sindacati dei lavoratori pubblici. Mark Serwotka segretario del sindacato Pcs, che annovera 320.000 iscritti tra gli impiegati pubblici ha firmato l’appello per l’unità e si è detto disponibile a proteste congiunte. Dichiarazioni di sostegno sono giunte anche dal sindacato degli insegnanti Nut, e si spera che l’alleanza si allarghi progressivamente a tutti i settori colpiti dai tagli. Tanto che in alcune assemblee qualcuno ha pure azzardato un’improbabile alleanza con i sindacati di polizia. In fondo «non verranno anche loro decimati dai tagli?».

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