sabato 4 aprile 2009

Dall'anti-G20 alla Nato, il viaggio dei no war

L'appuntamento è là dove tutto era iniziato, sabato scorso con la prima marcia dei 40 mila contro il G20. Una settimana dopo, tutti a Strasburgo, e dopo i banchieri questa volta tocca alle guerre e ai guerrafondai. Quello che parte per aggiungersi alle decine di migliaia di persone che questa mattina a Strasburgo e Baden Baden manifesteranno contro la Nato è una parte del popolo che è sceso in piazza in questi giorni. Quello più militante, a volte antiamericano altre filopalestinese oppure entrambe le cose, altre ancora pacifista e basta.
Ci si trova in ottanta alle sei di mattina alla fermata Embankment della Tube per la seconda tappa dell'offensiva di primavera: le proteste previste oggi e domani a Strasburgo contro una Nato che si appresta a celebrare il suo sessantesimo anniversario. La gente si raduna nello stesso punto da cui sabato scorso è partita la marcia di quarantamila persone che ha dato inizio alle proteste contro il summit del G20. Una pattuglia della Metropolitan Police osserva con distacco la spedizione di studenti, sindacalisti, lavoratori pubblici salire ordinatamente sul pullman.
Appena partiti cominciamo a discutere quello che ci attende in Francia, dove protesteremo dopo le botte prese in questi giorni per le strade di Londra. «Trecento fermati», dice qualcuno che ha appena ricevuto notizie fresche da casa. Una donna passa cercando di vendere copie di Socialist workers, il quotidiano dei trotzkisti inglesi.
Fuori dal finestrino tanta nebbia. Dentro, gente che legge sui quotidiani delle proteste dei giorni scorsi, e fatica a riconoscersi.
In un paio d'ore siamo a Dover e poi un traghetto attraverso la Manica fino ad approdare in Francia, paese tanto invidiato dal popolo di sinistra inglese, con i suoi scioperi massicci, le proteste da milioni di persone, con i suoi moti popolari. Eppure dopo gli scontri attorno alla Banca d'Inghilterra giovedì scorso, sembra che l'Inghilterra - questo paese alla deriva del vecchio continente - abbia riscoperto la rabbia di piazza, così come la violenta repressione poliziesca.
Tony Stanton, sindacalista e attivista contro la guerra, distribuisce la sua attenzione tra la campagna francese e una mappa di Strasburgo, città che domani verso mezzogiorno sarà attraversata da una grande protesta. «Non c'è niente di sorprendente nella violenza della polizia nei giorni scorsi - afferma ostentando la sua lunga esperienza in materia di conflitti sociali del Regno Unito - Reprimere il dissenso è quello che la polizia ha sempre fatto sin dagli albori del movimento operaio, nel 1800. Se qualcuno si sorprende è perché stiamo uscendo da un periodo di relativa pace sociale. I cosiddetti figli della Thatcher, la gente che oggi ha tra i 25 e i 35 anni, è stata pacificata da media e consumismo. I giovanissimi invece hanno fatto vedere in piazza che sono pieni di rabbia e che sono determinati a lottare».
Al secondo piano del pullman incontro un gruppo di quattro studenti universitari scozzesi, reduci dall'ondata di occupazioni messe su in protesta contro l'attacco a Gaza. «L'ondata di occupazioni è un fatto straordinario per un paese come la Gran Bretagna - sostiene Peter, studente a Glasgow - Ultimamente vedo molta più rabbia, molta più militanza. E i giovani non sono infuriati solamente per l'attacco a Gaza ma pure per la situazione economica che ci tocca affrontare. In base alle statistiche, in Scozia quest'anno si laureeranno 300 mila persone ma solo 80 mila troveranno lavoro». Arrabbiati con le generazioni precedenti che hanno goduto di una sicurezza sociale che i giovani di oggi non vedranno mai? «No», dice netto Ben che studia vicino a Stratclyde. «Le generazioni precedenti, i diritti se li sono guadagnati con le lotte. Questo è quello che dobbiamo fare noi: tornare a lottare».
Una pausa caffè in uno squallido autogrill francese. Toilette gratuita: ultimo bastione del bene comune non privatizzato nella terra di Sarkozy. Fuori incontro Andy Bowman, un dottorando di Manchester che ha visto da vicino il decesso di Ian Tomlinson, vittima degli scontri di mercoledì scorso. «In quell'area ci sono stati scontri pesanti e diversa gente che lo ha visto prima che morisse, mi ha detto che era stato ferito alla testa prima di collassare. Quando i poliziotti in assetto antisommossa hanno capito quello che stava succedendo, sono sbiancati in volto. Le versioni dell'accaduto che hanno fornito sono state contraddittorie».
Il pullman corre attraverso le colline della Lorena. Mancano ormai solo due ore all'arrivo e un gruppo di veterani del movimento anti-guerra condivide racconti di scontri in piazza, di botte scampate o arresti subiti.
Stewart, 28 anni, attivista di Stop the war, passa lungo il corridoio per distribuire una mappa dell'area di protesta e per dare informazioni pratiche sul soggiorno a Strasburgo. «I grandi al G20 hanno tracciato i contorni economici di quello che chiamano il nuovo ordine mondiale. A Strasburgo ne tracceranno quelli militari. Dobbiamo dimostrare che la gente questo nuove ordine mondiale non lo vuole, e che invece vuole il ritiro immediato delle truppe dal Pakistan e dall'Afghanistan».
Sono le otto di sera. Nel contingente studentesco al secondo piano del pullman si sfodera una chitarra e si stappa l'ennesima birra. Stiamo ormai arrivando a Strasburgo. Lo si capisce dall'infittirsi delle camionette della polizia. «Ne hanno mobilitati 25 mila», fa qualcuno. «Quando lo stato fa vedere il suo lato repressivo significa che è debole, non che è forte», risponde un altro.

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