Sono decenni che i loro tifosi si fanno la guerra. E ogni derby lascia dietro di sé uno strascico di feriti, arresti, denunce, vetrine spaccate e automobili bruciate, come succede in tanti altri derby noti per la loro violenza: Fenerbahce-Galatasaray a Istanbul, Celtic-Rangers a Glasgow, Roma-Lazio nella nostra capitale. Ma venerdi scorso di fronte all’ambasciata israeliana le tifoserie dell’Al-Ahly e dello Zamalek, le due principali squadre del Cairo, hanno messo temporaneamente da parte la loro rivalità per combattere fianco a fianco contro gli agenti della polizia, come era già successo 7 mesi fa, nei giorni caldi della rivoluzione egiziana.
A fine gennaio e inizio febbraio, gli ultras dello Zamalek e Al-Ahly erano in prima fila a difendere Tahrir square contro l’assalto dei baltageya (i provocatori assoldati dal governo) e dei poliziotti, e hanno avuto un ruolo importante nel riempire il vuoto organizzativo durante i primi giorni di sommossa. A spingere gli ultras dello Zamalek e dell’Al-Ahly, è stato innanzitutto l’odio viscerale per la polizia alimentato da un’esperienza di repressione e soprusi ben nota a tante tifoserie in giro per il mondo.
Prima della rivoluzione il regime vedeva le tifoserie come una delle principali minacce alla sicurezza dello stato, e ci andava giù duro con gas lacrimogeni e manganelli in ogni occasione in cui gli slogan urlati dalla curva nord (quella dell’Al-Ahly) o dalla curva sud (quella dello Zamalek) dello stadio internazionale del Cairo si facessero troppo politici. E questo è proprio quello che è avvenuto la sera del 6 settembre al margine della partita tra Al-Ahly e l’Aswan, club della città sul Nilo nel remoto sud dell’Egitto. Per punire i tifosi dell’Al-Ahly che avevano lanciato slogan ingiuriosi contro l’ex ministro degli interni El-Adly e il deposto presidente Hosni Mubarak, poliziotti in tenuta anti-sommossa hanno preso d’assalto la curva nord, partendo dal basso fino a salire alle ultime file. La battaglia è continuata fino a tarda notte fuori dallo stadio, con un bilancio finale di 130 feriti e decine di arrestati. Di tutta risposta i capi ultras dell’Al-Ahly hanno promesso che avrebbero partecipato in massa alla manifestazione di venerdì contro il regime militare. I rivali dello Zamalek hanno seguito a ruota, suggellando una nuova fase di «tregua rivoluzionaria» con gli arci-rivali. Come avviene per tante altre rivalità calcistiche, l’odio tra tifosi dello Zamalek, e dell’Al-Ahly ha profonde radici politiche e sociali. Zamalek e Al-Ahly sono i due principali club di calcio del Cairo. Lo Zamalek, maglietta bianca con due strisce azzurre, fu fondato nel 1911 da un avvocato belga.Era il team della comunità straniera del Cairo e poi dell’odiato re Farouk deposto dalla rivoluzione di Nasser del 1952. Al-Ahly – considerata la squadra più forte di tutto il continente africano, con 34 titoli nazionali e 6 Coppe d’Africa – rappresentava invece l’impeto di liberazione nazionale, incarnato nei suoi colori sociali, il rosso e il nero della bandiera precoloniale. E se lo stereotipo vuole il tifoso dello Zamalek un intellettuale di classe media, a suo agio con gli “expats” che affollano l’isola in mezzo al Nilo da cui prende il nome, i tifosi dell’Al-Ahly vengono per lo più dalla classe lavoratrice dei quartieri popolari della capitale come Shubra e Giza.
Fu solo nel 2007 che i tifosi dello Zamalek e dell’Al’Ahly diedero vita ai primi veri e propri gruppi di ultras organizzati sul modello autonomo e militante, degli ultras di casa nostra. Così sorsero Gli Ultras White Knights (Uwk) a sostenere lo Zamalek e il gruppo Al-Ahlawy per sostenere i rivali dell’Al-Ahly. L’ultimo incidente grave tra le due tifoserie risale al giugno scorso, quando un gruppo di tifosi dello Zamalek incendiò a colpi di molotov un pulmino su cui si trovavano una decina di tifosi dell’Al’Ahly di ritorno da una trasferta ad Alessandria. Per un pelo non ci scappò il morto, e di tutta risposta un gruppo di autisti del Cairo prese d’assalto la sede dello Zamalek.
Il ruolo di primo piano che i gruppi ultras si sono ricavati nella rivoluzione egiziana riflette quanto il tifo calcistico costituisca uno dei pochi ambiti sociali capaci di competere con l’onnipresenza della religione musulmana, in cui lo stadio diventa l’equivalente della moschea come polo di aggregazione, e in cui il rito del venerdì di preghiera se la deve vedere con il rito del venerdì di tifo allo stadio. Non sorprende quindi che, vista la crescente popolarità del calcio nel paese del Nilo, i potenti Fratelli Musulmani, abbiano annunciato nel maggio scorso l’intenzione di formare un proprio club calcistico, nell’arduo tentativo di coniugare religione e tifoseria.
Prima della rivoluzione il regime vedeva le tifoserie come una delle principali minacce alla sicurezza dello stato, e ci andava giù duro con gas lacrimogeni e manganelli in ogni occasione in cui gli slogan urlati dalla curva nord (quella dell’Al-Ahly) o dalla curva sud (quella dello Zamalek) dello stadio internazionale del Cairo si facessero troppo politici. E questo è proprio quello che è avvenuto la sera del 6 settembre al margine della partita tra Al-Ahly e l’Aswan, club della città sul Nilo nel remoto sud dell’Egitto. Per punire i tifosi dell’Al-Ahly che avevano lanciato slogan ingiuriosi contro l’ex ministro degli interni El-Adly e il deposto presidente Hosni Mubarak, poliziotti in tenuta anti-sommossa hanno preso d’assalto la curva nord, partendo dal basso fino a salire alle ultime file. La battaglia è continuata fino a tarda notte fuori dallo stadio, con un bilancio finale di 130 feriti e decine di arrestati. Di tutta risposta i capi ultras dell’Al-Ahly hanno promesso che avrebbero partecipato in massa alla manifestazione di venerdì contro il regime militare. I rivali dello Zamalek hanno seguito a ruota, suggellando una nuova fase di «tregua rivoluzionaria» con gli arci-rivali. Come avviene per tante altre rivalità calcistiche, l’odio tra tifosi dello Zamalek, e dell’Al-Ahly ha profonde radici politiche e sociali. Zamalek e Al-Ahly sono i due principali club di calcio del Cairo. Lo Zamalek, maglietta bianca con due strisce azzurre, fu fondato nel 1911 da un avvocato belga.Era il team della comunità straniera del Cairo e poi dell’odiato re Farouk deposto dalla rivoluzione di Nasser del 1952. Al-Ahly – considerata la squadra più forte di tutto il continente africano, con 34 titoli nazionali e 6 Coppe d’Africa – rappresentava invece l’impeto di liberazione nazionale, incarnato nei suoi colori sociali, il rosso e il nero della bandiera precoloniale. E se lo stereotipo vuole il tifoso dello Zamalek un intellettuale di classe media, a suo agio con gli “expats” che affollano l’isola in mezzo al Nilo da cui prende il nome, i tifosi dell’Al-Ahly vengono per lo più dalla classe lavoratrice dei quartieri popolari della capitale come Shubra e Giza.
Fu solo nel 2007 che i tifosi dello Zamalek e dell’Al’Ahly diedero vita ai primi veri e propri gruppi di ultras organizzati sul modello autonomo e militante, degli ultras di casa nostra. Così sorsero Gli Ultras White Knights (Uwk) a sostenere lo Zamalek e il gruppo Al-Ahlawy per sostenere i rivali dell’Al-Ahly. L’ultimo incidente grave tra le due tifoserie risale al giugno scorso, quando un gruppo di tifosi dello Zamalek incendiò a colpi di molotov un pulmino su cui si trovavano una decina di tifosi dell’Al’Ahly di ritorno da una trasferta ad Alessandria. Per un pelo non ci scappò il morto, e di tutta risposta un gruppo di autisti del Cairo prese d’assalto la sede dello Zamalek.
Il ruolo di primo piano che i gruppi ultras si sono ricavati nella rivoluzione egiziana riflette quanto il tifo calcistico costituisca uno dei pochi ambiti sociali capaci di competere con l’onnipresenza della religione musulmana, in cui lo stadio diventa l’equivalente della moschea come polo di aggregazione, e in cui il rito del venerdì di preghiera se la deve vedere con il rito del venerdì di tifo allo stadio. Non sorprende quindi che, vista la crescente popolarità del calcio nel paese del Nilo, i potenti Fratelli Musulmani, abbiano annunciato nel maggio scorso l’intenzione di formare un proprio club calcistico, nell’arduo tentativo di coniugare religione e tifoseria.
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