Davanti alla cattedrale copta di San Marco ci sono dieci blindati color sabbia dell'esercito egiziano. Identici a quelli che domenica sera hanno fatto strage nella folla, investendo i corpi di decine di manifestanti, spezzando ossa, frantumando crani. Una provocazione inaccettabile per i fedeli in lutto. Si alzano urla contro l'esercito e contro Tantawi, il capo della giunta militare succeduta a Mubarak. Passano pochi minuti e i veicoli abbandonano lo spiazzo. Al loro posto parcheggiano i carri funebri con a bordo le vittime della battaglia di Maspiro.
Il giorno dopo il massacro dei cristiani copti di fronte al grattacielo di Maspiro, sede della televisione pubblica egiziana, negli ospedali si fa ancora il conto dei morti e dei feriti degli scontri più gravi dalla caduta del dittatore Hosni Mubarak, 9 mesi fa. Stando agli ultimi dati del ministero della sanità egiziano i morti sarebbero 29 - 17 manifestanti e 12 tra poliziotti e soldati - mentre i feriti sono piu' di 200. Un bilancio destinato ad aggravarsi: c'e' chi parla di 60 morti, quasi tutti tra i manifestanti. Davanti all'ospedale copto dove sono arrivati la maggior parte dei caduti e dei feriti si radunano parenti e amici. Dentro un sacerdote copto cerca di convincere la gente a chiedere l'autopsia per i propri cari: «E' il solo modo per dimostrare che li ha uccisi l'esercito».
La battaglia tra copti e militari è cominciata domenica sera durante una protesta convocata dopo l'incendio di una chiesa nel distretto di Assuan, nell'Egitto meridionale, la scorsa settimana. Erano partiti in 10.000 da Shubra, quartiere della minoranza copta nella zona nord del Cairo. Nel corteo spiccavano croci, icone religiose e cartelli scritti a mano che chiedevano alle autorità di difendere la libertà di culto e di mettere freno al fondamentalismo islamico. I problemi sono cominciati quando il corteo si è immesso nel tunnel che collega Shubra al centro città. Dai palazzi vicini sono iniziati lanci di pietre, bottiglie e bombe molotov, e si sono uditi colpi di pistola sparati da provocatori (i famigerati baltageya), sospettati di essere manovalanza al servizio della giunta militare.
Verso le sette di sera la testa del corteo ha infine raggiunto la zona di Maspiro, sulla riva destra del Nilo, dove dall'inizio della rivoluzione la comunità copta tiene i propri presidi di protesta. E dopo pochi minuti è cominciato l'inferno. L'esercito ha attaccato frontalmente il corteo. Cariche di blindati lanciati all'impazzata contro la folla, hanno investito chiunque si trovasse sul loro cammino, mentre raffiche di mitre e colpi di fucile hanno mietuto altre vittime. Alcuni manifestanti avrebbero reagito sparando con armi rubate da un camionetta della polizia data alle fiamme. Ma gli organizzatori della protesta insistono che nessuno tra i manifestanti copti ha aperto il fuoco su militari e poliziotti, e accusano gruppi di provocatori e islamisti dell'accaduto.
La battaglia tra manifestanti ed esercito è andata avanti per ore nella zona circostante, compresa la vicina piazza Tahrir che è stata sgomberata attorno alla mezzanotte da plotoni di soldati armati di scudi e bastoni. Poi più o meno alla stessa ora il governo ha dichiarato il coprifuoco in tutta la zona centrale della capitale fino alle sette dell'indomani mattina. Il primo ministro Sharaf è andato in televisione a dichiarare che «forze oscure» sono dietro gli scontri, e che «il paese è in pericolo». E la televisione di stato ha incitato la popolazione a scendere in piazza e a difendere i militari contro gli «assassini» cristiani. Centinaia di salafiti hanno risposto all'appello e sono andati ad attaccare l'ospedale copto dove continuavano ad arrivare i feriti degli scontri.
Il massacro di domenica è l'ultimo in una serie di attacchi contro la minoranza copta in un anno cominciato con la strage islamista del primo gennaio in una chiesa di Alessandria in cui morirono 23 persone. Dalla caduta di Mubarak ci sono state decine di attacchi contro la minoranza copta in diverse zone del paese, di cui alcuni mortali. Ora per i membri della antica setta cristiana, che rappresenta il 9% della popolazione egiziana si profila il rischio di essere stritolati tra il pugno di ferro dell'esercito e il fanatismo dei gruppi salafiti.
«E' difficile descrivere il dolore per quello che è accaduto - afferma Nora Rafea, una ragazza musulmana di 24 anni che è andata ad esprimere solidarietà davanti all'ospedale copto -. Sta succedendo qualcosa di molto inquietante in questo paese. Qualcuno vuole che la rivoluzione si trasformi in una guerra religiosa. La giunta militare vuole aumentare la tensione, e dimostrare che senza di loro il paese finirà nel caos. Continuo ad essere convinta che il popolo egiziano non si farà ingannare da questo complotto». Sarà così?
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