mercoledì 12 maggio 2010

Brown si dimette, incarico a Cameron

«Grazie e arrivederci». Dopo cinque giorni di resistenza in cui è rimasto in trincea a Downing Street, cercando di scongiurare a tutti i costi l'entrata dei Tory di David Cameron, ieri Gordon Brown ha presentato ufficialmente le dimissioni da primo ministro alla regina Elisabetta e ha chiesto al sovrano di invitare il leader dei Conservatori Cameron a formare un nuovo esecutivo.

La decisione di Brown è giunta a seguito del fallimento della trattativa tra laburisti e liberaldemocratici, spenta sul nascere dall'opposizione interna di diversi esponenti Labour. In tarda serata tutti prevedevano che a brevissimo, forse già nella nottata, sarebbe stata annunciata la formazione di un esecutivo guidato da David Cameron, con al suo interno diversi ministri liberaldemocratici, nella prima coalizione giallo-blu della recente storia britannica.

Sin dalla mattinata si percepiva che quella di ieri sarebbe stata la giornata decisiva, dopo cinque giorni di trattative febbrili per creare un nuovo esecutivo, seguite ad elezioni che avevano restituito al paese un parlamento appeso, con nessun partito con la maggioranza dei seggi.

Di prima mattina Cameron aveva lanciato un ultimatum a Clegg, definendo la giornata di ieri il «giorno delle decisioni», e per tutta risposta Clegg si era detto impaziente di porre fine alla situazione di incertezza. A sbloccare la trattativa tra Libdem e Tory, è stato il fallimento dei colloqui paralleli tra libdem e i laburisti.

Cercando di approfittare dello stallo nei negoziati tra liberaldemocratici e conservatori, ieri Brown si era detto disposto a farsi da parte, per persuadere i Libdem, restii ad unirsi ad un governo da lui capeggiato, a venire a patti con i laburisti. Ma il tentativo di Brown si è presto infranto di fronte alla resistenza di diversi esponenti del Labour, tra cui il ministro alla salute David Burnham che ieri mattina ha affermato che il «Labour deve rispettare i risultati delle elezioni e prepararsi all'opposizione», e l'ex ministro degli interni Blunkett che ha chiamato i libdem «prostitute».

Le dimissioni di Brown promettono di accelerare la formazione di un governo di coalizione tra Conservatori e Liberaldemocratici, a cui ieri sera mancava solo il timbro finale dell'approvazione dei rispettivi gruppi parlamentari. L'accordo raggiunto tra liberaldemocratici e Conservatori coprirebbe un periodo di tre anni, prima del ritorno alle urne. Dopo le dure resistenze iniziali i Conservatori hanno offerto ai Liberaldemocratici un referendum per cambiare il sistema elettorale in senso più proporzionale. Al partito di Clegg verrebbero inoltre affidati sei dicasteri, e a Clegg stesso andrebbe la carica di vice primo ministro. I Libdem porterebbero a casa pure la no-tax zone sotto le 10.000 sterline, una proposta chiave del loro manifesto programmatico. I Libdem non otterrebbero il cancelliere dello scacchiere che probabilmente andrà al liberal Tory Ken Clarke. Ma avrebbero voce sui tagli alla spesa pubblica da effettuare per diminuire il deficit, giunto ormai a quota 12%. I Conservatori si sono dimostrati sorprendentemente disponibili ad abbandonare una serie di provvedimenti sbandierati in campagna elettorale tra cui l'eliminazione della tassa di successione sopra la soglia di 300.000 sterline, e agevolazioni fiscali per le coppie sposate. Tuttavia non hanno lasciato spazio sull'immigrazione. I liberaldemocratici avrebbero accantonato la loro richiesta di regolarizzazione per i clandestini che si trovino nel paese da 10 anni, in cambio di concessioni in altri settori.

Il nuovo esecutivo potrebbe prendere possesso del numero 10 di Downing Street già questa mattina, dopo un trasloco lampo di Brown e del suo cancelliere Darling. David Cameron si presenterebbe poi di fronte alla camera dei Comuni nel giorno di apertura del nuovo parlamento, il 18 di maggio prossimo e non dovrebbe avere alcun problema ad ottenere il voto di fiducia, dato che Conservatori e Liberaldemocratici assieme, hanno una maggioranza di circa 30 voti.

Tuttavia rimangono incognite sulla tenuta a lungo termine di una coalizione Lib-Con, perché molti esponenti di spicco del partito liberaldemocratico tra cui i decani Menzies Campbell, Charles Kennedy e Vincent Cable hanno detto che avrebbero preferito un accordo con il Labour Party, e l'accordo con i Tory sarà pure difficile da far digerire alla base. Ciò che si prospetta alla coalizione di governo è un futuro tutt'altro che invidiabile, disseminato di tagli alla spesa pubblica e scelte impopolari. Una situazione in cui, come devono avere pensato gli esponenti del Labour che hanno messo fine alla trattativa con il partito di Clegg, è meglio trovarsi all'opposizione che al governo.

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