Felpa col cappuccio e trainers ai piedi sono la loro divisa. I council estates, i casermoni dell'edilizia popolare costruiti tra gli anni Sessanta e i Settanta le loro basi, sorvegliate dalle ringhiere delle balconate, dove fanno il palo i tinies, i membri più giovani. Lo spaccio di droga, in particolare skunk, cocaina e crack, assieme a scippi e rapine le loro principali attività. E il gangsta rap, la colonna sonora di un'esistenza scandita a ritmo di «get rich or dying trying» (diventa ricco o muori provandoci).
I tumulti che hanno visto picchi di fumo innalzarsi su Londra affondano le loro radici nel diffuso disagio sociale e la loro forma di espressione nella «gangsta culture», quella con cui si identificano le bande di ragazzini dei quartieri più disagiati della capitale da Tottenham a Brixton.
Si tratta di gruppi fluidi, ognuno con il suo cappellino, sciarpa o guanti di appartenenza: difendono il territorio che ricade sotto un codice postale. In maggioranza si tratta di ragazzini afro-caraibici di seconda generazione, tra i 10 e i 25 anni. Ma al loro fianco ci sono anche tanti ragazzi bianchi, nati in famiglie disagiate che vivono proprio di quei sussidi che il governo Cameron sta tagliando senza pietà.
Le gangs di Londra che hanno fatto da traino ai tumulti di questi giorni, vengono da una tradizione che risale agli i anni Trenta quando nell'East End gli inglesi Hoxton Boys e gli ebrei Yiddishes lottavano con le mob italiane guidate da Charles «Darby» Sabini per il controllo di bische e bordelli, ma se la vedevano pure con le camicie nere di Oswald Mosley. Poi nel dopoguerra fu la volta dei Teddy Boys, dei Mods, dei Rockers e degli Skinheads, fenomeni a cavallo tra sottocultura e malavita, fino ad arrivare alla gangsta culture dei giorni nostri.
Negli ultimi anni una serie di studi avevano lanciato l'allarme: le gang sono in crescita, sempre più organizzate, sempre più violente. Stando a un rapporto realizzato nel 2007 da Scotland Yard solo a Londra ci sono 169 gang per lo più localizzate nelle zona periferiche Nord e Sud, guarda caso proprio nelle aree di maggior emarginazione sociale. Quell'anno 26 ragazzi furono uccisi nella capitale in scontri tra bande. Un nuovo avvertimento fu suonato nel 2009 dalla ong filo-conservatrice Centre for Social Justice, secondo cui 50.000 ragazzi britannici erano affiliati alle gang. La soluzione? «Tolleranza zero verso i capi-banda».
Un face, o capo-banda era proprio Mark Duggan il «martire», la cui uccisione da parte della polizia ha scatenato l'ondata di tumulti. Duggan era cresciuto nei palazzoni popolari di Broadwater Farm, dove nel 1985 si scatenò una rivolta che ricorda da vicino la sommossa di questi giorni, e in cui fu ucciso l'agente Keith Blakelock. Il ragazzo, ventinove anni, di famiglia caraibica, era salito velocemente al vertice degli Star, uno dei sotto-gruppi dei Tottenham Man Dem, il cui territorio è cifrabile nel codice postale N17 e i cui nemici tradizionali sono gli Hackney boys, e gli Shankstarz del vicino sobborgo di Edmonton.
Se la storia delle gang britanniche è sempre stata una storia di faide territoriali, i tumulti degli ultimi giorni suggeriscono che adesso le bande stanno facendo fronte contro il nemico comune: i cops, ovvero gli sbirri. L'offensiva lanciata dalla polizia negli ultimi mesi contro di loro, sembra aver spinto diverse bande a mettere da parte almeno temporaneamente le rivalità, come nel famoso film del 1979 The Warriors o come nei Los Angeles riots del 1992. Ma questa volta c'è qualcosa di più.
Per strada negli ultimi giorni si sono visti anche tanti ragazzi (e ragazze, le riots girl) che anche se non affiliati alle gang, vedono nella «gangsta culture», una forma di rivincita esistenziale contro uno società che considera gli abitanti dei quartieri poveri come dei «parassiti» a cui tagliare i sussidi. Le gang si stanno insomma guadagnando un rolo che se non è propriamente politico, quantomeno è pre-politico. Il controllo del territorio diventa così una sfida allo stato che non solo non offre lavoro ma soffoca pure l'economia criminale del traffico di droga e dei piccoli furti che dà da mangiare a tante famiglie.
Infine l'elemento etnico. In molti hanno tracciato paralleli con i riots di Brixton, dei primi anni Ottanta in cui la comunità caraibica si ribellava contro una polizia razzista. Ma nelle nelle foto di questi giorni a mancare non sono tanto i ragazzini bianchi, ma piuttosto i coetanei pachistani e bangladesi, che vivono simili situazioni di emarginazione, e sono anche loro organizzati in gang, come i Cannon Street Boys di Shadwell a Londra.
La morte di tre ragazzi asiatici investiti da un auto durante i tumulti a Birmingham, rischia di essere la scintilla capace di trasformare questi riots anti-stato in uno scontro inter-etnico (neri e bianchi contro asiatici) dalle conseguenze imprevedibili.
I tumulti che hanno visto picchi di fumo innalzarsi su Londra affondano le loro radici nel diffuso disagio sociale e la loro forma di espressione nella «gangsta culture», quella con cui si identificano le bande di ragazzini dei quartieri più disagiati della capitale da Tottenham a Brixton.
Si tratta di gruppi fluidi, ognuno con il suo cappellino, sciarpa o guanti di appartenenza: difendono il territorio che ricade sotto un codice postale. In maggioranza si tratta di ragazzini afro-caraibici di seconda generazione, tra i 10 e i 25 anni. Ma al loro fianco ci sono anche tanti ragazzi bianchi, nati in famiglie disagiate che vivono proprio di quei sussidi che il governo Cameron sta tagliando senza pietà.
Le gangs di Londra che hanno fatto da traino ai tumulti di questi giorni, vengono da una tradizione che risale agli i anni Trenta quando nell'East End gli inglesi Hoxton Boys e gli ebrei Yiddishes lottavano con le mob italiane guidate da Charles «Darby» Sabini per il controllo di bische e bordelli, ma se la vedevano pure con le camicie nere di Oswald Mosley. Poi nel dopoguerra fu la volta dei Teddy Boys, dei Mods, dei Rockers e degli Skinheads, fenomeni a cavallo tra sottocultura e malavita, fino ad arrivare alla gangsta culture dei giorni nostri.
Negli ultimi anni una serie di studi avevano lanciato l'allarme: le gang sono in crescita, sempre più organizzate, sempre più violente. Stando a un rapporto realizzato nel 2007 da Scotland Yard solo a Londra ci sono 169 gang per lo più localizzate nelle zona periferiche Nord e Sud, guarda caso proprio nelle aree di maggior emarginazione sociale. Quell'anno 26 ragazzi furono uccisi nella capitale in scontri tra bande. Un nuovo avvertimento fu suonato nel 2009 dalla ong filo-conservatrice Centre for Social Justice, secondo cui 50.000 ragazzi britannici erano affiliati alle gang. La soluzione? «Tolleranza zero verso i capi-banda».
Un face, o capo-banda era proprio Mark Duggan il «martire», la cui uccisione da parte della polizia ha scatenato l'ondata di tumulti. Duggan era cresciuto nei palazzoni popolari di Broadwater Farm, dove nel 1985 si scatenò una rivolta che ricorda da vicino la sommossa di questi giorni, e in cui fu ucciso l'agente Keith Blakelock. Il ragazzo, ventinove anni, di famiglia caraibica, era salito velocemente al vertice degli Star, uno dei sotto-gruppi dei Tottenham Man Dem, il cui territorio è cifrabile nel codice postale N17 e i cui nemici tradizionali sono gli Hackney boys, e gli Shankstarz del vicino sobborgo di Edmonton.
Se la storia delle gang britanniche è sempre stata una storia di faide territoriali, i tumulti degli ultimi giorni suggeriscono che adesso le bande stanno facendo fronte contro il nemico comune: i cops, ovvero gli sbirri. L'offensiva lanciata dalla polizia negli ultimi mesi contro di loro, sembra aver spinto diverse bande a mettere da parte almeno temporaneamente le rivalità, come nel famoso film del 1979 The Warriors o come nei Los Angeles riots del 1992. Ma questa volta c'è qualcosa di più.
Per strada negli ultimi giorni si sono visti anche tanti ragazzi (e ragazze, le riots girl) che anche se non affiliati alle gang, vedono nella «gangsta culture», una forma di rivincita esistenziale contro uno società che considera gli abitanti dei quartieri poveri come dei «parassiti» a cui tagliare i sussidi. Le gang si stanno insomma guadagnando un rolo che se non è propriamente politico, quantomeno è pre-politico. Il controllo del territorio diventa così una sfida allo stato che non solo non offre lavoro ma soffoca pure l'economia criminale del traffico di droga e dei piccoli furti che dà da mangiare a tante famiglie.
Infine l'elemento etnico. In molti hanno tracciato paralleli con i riots di Brixton, dei primi anni Ottanta in cui la comunità caraibica si ribellava contro una polizia razzista. Ma nelle nelle foto di questi giorni a mancare non sono tanto i ragazzini bianchi, ma piuttosto i coetanei pachistani e bangladesi, che vivono simili situazioni di emarginazione, e sono anche loro organizzati in gang, come i Cannon Street Boys di Shadwell a Londra.
La morte di tre ragazzi asiatici investiti da un auto durante i tumulti a Birmingham, rischia di essere la scintilla capace di trasformare questi riots anti-stato in uno scontro inter-etnico (neri e bianchi contro asiatici) dalle conseguenze imprevedibili.
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