TESTO Londra Sulle televisioni e sui giornali inglesi ieri campeggiava una mappa della Scozia coperta al centro dalla tinta blu scuro dei collegi uninominali conquistati dallo Scottish National Party, con il rosso del Labour ricacciato verso il sud della regione e nelle zone urbane di Edimburgo e Glasgow e il giallo dei liberaldemocratici isolato all'estremo nord. «La Scozia ha scelto un nuovo cammino politico, questo è un momento storico», affermava il leader dell' Snp Alex Salmond già venerdì pomeriggio, rompendo gli indugi di fronte all'incertezza degli spogli.
Doccia scozzese
Per la prima volta nella storia scozzese l'indipendentista Scottish National Party è il primo partito, guadagnando oltre 20 seggi rispetto alle elezioni precedenti. Tuttavia questo voto restituisce l'immagine di una Scozia spaccata di fronte alla scelta dell'indipendenza con il risultato di un parlamento in bilico e di un futuro incerto.
E' ancora lontano il giorno in cui gli scozzesi porteranno via la croce di Sant'Andrea dalla bandiera del Regno Unito. Il cammino verso il controllo di Holyrood, il parlamento scozzese che ha aperto i battenti nel maggio del 1999 dopo il referendum sulla devolution è più impervio di quanto lasciassero credere i sondaggi, che davano lo Scottish National Party trionfante per oltre 5 punti sul Labour. In realtà alla fine L'Snp ottiene il 33% contro il 32% dei Labouristi, il 17% dei Conservatori, e il 16% dei Liberaldemocratici che incassano un risultato deludente.
Così i nazionalisti l'hanno spuntata per un solo seggio, 47 contro i 46 del Labour che ha controllato la regione per oltre 50 anni, e che era al governo dell'autorità autonoma con il primo ministro Jack McConnell. A questa risalita del Labour sui nazionalisti ha contribuito una intensa mobilitazione del partito negli ultimi giorni per cercare di convincere gli elettori insoddifatti che queste elezioni non avevano a che fare con il governo Blair e la guerra in Iraq e che un voto di protesta rischiava di aprire la strada verso l'indipendenza. L'Snp tuttavia sospetta pure che il disastro nello svolgimento degli spogli, in cui oltre centomila schede sono state annullate, lo abbia svantaggiato.
Ma il governo è un problema
Ora i nazionalisti che sono su posizioni di centro sinistra, non molto differenti da quelle del Labour Party ma con un'impronta più populista e con una forte ostilità alla politica estera di Tony Blair sperano di costituire una «coalizione progressista» con i Liberaldemocratici e con i Verdi, che garantirebbe una maggioranza di due seggi al nuovo governo. Tuttavia questo significherebbe per l'Snp mettere nel cassetto quello che è il suo principale punto in programma, un referendum per l'indipendenza della Scozia dal Regno unito da tenersi nel 2010.
Menzies Campbell, leader dei Liberaldemocratici, pur mostrandosi disponibile all'idea, ha chiarito che il proprio partito continua a essere opposto all'indipendenza della Scozia che considera una scelta sventata e dai costi insostenibili. Il leader nazionalista Salmond spera di riuscire ad aggirare la fermezza del possibile alleato con la promessa di inserire nel quesito referendario oltre a un semplice Sì/No anche la possibilità di una via di mezzo con un aumento dei poteri del parlamento scozzese - un'opzione che fa già parte del programma dei Liberaldemocratici.
Smacco per Blair e Brown
In alternativa Salmond potrebbe stringere un accordo informale con i Libdem e i Verdi per ottenere la fiducia come primo ministro tra un mese e cercare di navigare a vista con un governo di minoranza. Comunque sia è evidente che - come ha dichiarato il primo ministro in pectore - «il Labour ha perso il proprio diritto divino di governo sulla Scozia».
Uno smacco per il partito al governo a Londra dato che i suoi due capifila, Gordon Brown e Tony Blair, sono entrambi scozzesi. E ora pure Fife, un tempo collegio elettorale blindato di Brown, non appare più sicuro per le prossime elezioni politiche. Così nel Labour aumenta la preoccupazione per la successione a Downing Street.
mercoledì 7 maggio 2008
sabato 3 maggio 2008
Fumo di Londra. Il Labour crolla, è il terzo partito
E così Brown si trascina dietro Livingstone. Alla fine ha ceduto pure Londra, quella che era l'ultima speranza in una tornata di elezioni locali che hanno segnato per il Labour un record negativo. Terzo dopo Conservatori e Liberaldemocratici. Ridotto a un 24% che lo riporta agli anni '60, a uno dei periodi più neri nella storia del partito.
Per la formazione alla guida del governo del paese è un colpo pesante che va oltre le previsioni già negative che venivano avanzate dai suoi strateghi. Per il ringiovanito Conservative Party di David Cameron, il 44% ottenuto in questa occasione è invece un risultato sorprendente, che misura l'ampiezza del consenso e che mette un'ipoteca pesante sulle elezioni nazionali del prossimo anno.
La disfatta per il partito di Brown attraversa tutta l'Inghilterra e il Galles. I laburisti perdono pure Reading, l'unica città che assieme a Londra era rimasta in loro controllo nel ricco Sud-est del paese e diverse città del Galles. In totale perdono 331 consiglieri nelle diverse assemblee locali. A dare il segno della profondità dell'avanzata dei conservatori è la loro penetrazione in una serie di collegi chiave che venivano ritenuti sicuri dai Labour in vista delle elezioni politiche. Ma il vero smacco è la perdita di Londra.
Mentre ieri sera si terminavano i conteggi per accertare il vincitore delle elezioni, nella capitale diventava sempre più chiaro che i risultati di Londra non si sarebbero discostati da quanto successo a livello nazionale. Pur essendo un eretico nel suo partito, Livingstone ha pagato in termini elettorali la sua appartenenza al Labour.
Contro di lui ha avuto pure un peso l'insofferenza dei cittadini londinesi per episodi di scarsa trasparenza nella sua amministrazione oltreché un desiderio di novità dopo otto anni consecutivi del politico old Labour alla guida della metropoli.
A trarne frutto è stato così il conversatore Boris Johnson. La sua campagna è riuscita in particolar modo a mobilitare gli abitanti della cosiddetta «ciambella» di Londra, la benestante zona suburbana che cinge la città, dove vivono elettori tradizionalmente conservatori. L'alta partecipazione in queste elezioni rispetto alle precedenti tornate - oltre il 45% degli elettori è andato alle urne - è stata particolarmente significativa nelle aree favorevoli a Johnson. I laburisti avevano sperato di salvarsi grazie alla massiccia affluenza in alcuni quartieri interni della città a loro tradizionalmente fedeli. Ma non c'è stato nulla da fare. Nonostante la paura per gli attacchi al multiculturalismo che potrebbe portare il nuovo sindaco, Johnson è riuscito a convincere un alto numero di elettori della sua affidabilità.
La vittoria di Johnson è dovuta alla sua insistenza sulla questione della sicurezza in una città, reduce da una serie di omicidi di ragazzini, con uno dei livelli di violenza tra i più alti d'Europa. In particolare ha fatto colpo la promessa di Johnson di sedere a capo della Metropolitan Police Authority che si occupa della sicurezza nella capitale. L'opinione pubblica ha inoltre introiettato le critiche lanciate a Livingstone che lo accusano di non esercitare pressioni sulla polizia.
Oltre ad aver cambiato la faccia delle amministrazioni locali di mezza Gran Bretagna, rendendo ancora più evidente il dominio dei conversatori a livello territoriale, l'importanza di queste elezioni risiede nel contraccolpo politico che avranno a livello nazionale.
Nonostante la batosta elettorale dentro il Labour nessuno osa mettere in dubbio la leadership di Brown. Ma dopo l'ultimo pasticcio parlamentare sull'eliminazione di sgravi fiscali per le famiglie più povere, mai come dopo queste elezioni il Labour appare un partito diviso che si rifiuta di seguire il comandante nella sua disfatta. La situazione è opposta per il raggiante David Cameron che dopo queste elezioni vede sempre più vicino il giorno in cui varcherà la porta di Downing Street. Il leader conservatore festeggia e prepara la strategia per le elezioni nazionali ma avverte che «non si possono vincere le elezioni passando sulla schiena di un governo moribondo».
Di sicuro questo risultato obbligherà Brown a quella riflessione sull'andamento del partito che negli ultimi tempi è stata proposta da diverse personalità di spicco. Dopo le voci degli ultimi giorni, secondo cui Tony Blair avrebbe dichiarato che Gordon Brown perderà alle elezioni contro Cameron, sono aumentate le preoccupazioni dei parlamentari che rischiano di perdere il posto. Ma al momento non sembra che Gordon Brown abbia la volontà di invertire quella disperata corsa verso il centro che ha offerto ai conversatori molti punti indifesi da attaccare nella campagna elettorale. Anche in queste elezioni locali Brown ha permesso a Cameron di presentarsi come paladino dei servii pubblici, dagli uffici postali minacciati di chiusura, degli ospedali pubblici a cui vengono diminuiti i fondi. Ma la principale responsabile della débâcle laburista è probabilmente la crisi economica che sta creando guai a molte famiglia inglesi. Dopo 10 anni di crescita continua in cui il Labour era riuscito a sedurre la classe media, ora le crepe del sistema economico creato in quel periodo si stanno abbattendo sopra il Labour e in particolare sull'ex cancelliere dello scacchiere, Gordon Brown.
Per la formazione alla guida del governo del paese è un colpo pesante che va oltre le previsioni già negative che venivano avanzate dai suoi strateghi. Per il ringiovanito Conservative Party di David Cameron, il 44% ottenuto in questa occasione è invece un risultato sorprendente, che misura l'ampiezza del consenso e che mette un'ipoteca pesante sulle elezioni nazionali del prossimo anno.
La disfatta per il partito di Brown attraversa tutta l'Inghilterra e il Galles. I laburisti perdono pure Reading, l'unica città che assieme a Londra era rimasta in loro controllo nel ricco Sud-est del paese e diverse città del Galles. In totale perdono 331 consiglieri nelle diverse assemblee locali. A dare il segno della profondità dell'avanzata dei conservatori è la loro penetrazione in una serie di collegi chiave che venivano ritenuti sicuri dai Labour in vista delle elezioni politiche. Ma il vero smacco è la perdita di Londra.
Mentre ieri sera si terminavano i conteggi per accertare il vincitore delle elezioni, nella capitale diventava sempre più chiaro che i risultati di Londra non si sarebbero discostati da quanto successo a livello nazionale. Pur essendo un eretico nel suo partito, Livingstone ha pagato in termini elettorali la sua appartenenza al Labour.
Contro di lui ha avuto pure un peso l'insofferenza dei cittadini londinesi per episodi di scarsa trasparenza nella sua amministrazione oltreché un desiderio di novità dopo otto anni consecutivi del politico old Labour alla guida della metropoli.
A trarne frutto è stato così il conversatore Boris Johnson. La sua campagna è riuscita in particolar modo a mobilitare gli abitanti della cosiddetta «ciambella» di Londra, la benestante zona suburbana che cinge la città, dove vivono elettori tradizionalmente conservatori. L'alta partecipazione in queste elezioni rispetto alle precedenti tornate - oltre il 45% degli elettori è andato alle urne - è stata particolarmente significativa nelle aree favorevoli a Johnson. I laburisti avevano sperato di salvarsi grazie alla massiccia affluenza in alcuni quartieri interni della città a loro tradizionalmente fedeli. Ma non c'è stato nulla da fare. Nonostante la paura per gli attacchi al multiculturalismo che potrebbe portare il nuovo sindaco, Johnson è riuscito a convincere un alto numero di elettori della sua affidabilità.
La vittoria di Johnson è dovuta alla sua insistenza sulla questione della sicurezza in una città, reduce da una serie di omicidi di ragazzini, con uno dei livelli di violenza tra i più alti d'Europa. In particolare ha fatto colpo la promessa di Johnson di sedere a capo della Metropolitan Police Authority che si occupa della sicurezza nella capitale. L'opinione pubblica ha inoltre introiettato le critiche lanciate a Livingstone che lo accusano di non esercitare pressioni sulla polizia.
Oltre ad aver cambiato la faccia delle amministrazioni locali di mezza Gran Bretagna, rendendo ancora più evidente il dominio dei conversatori a livello territoriale, l'importanza di queste elezioni risiede nel contraccolpo politico che avranno a livello nazionale.
Nonostante la batosta elettorale dentro il Labour nessuno osa mettere in dubbio la leadership di Brown. Ma dopo l'ultimo pasticcio parlamentare sull'eliminazione di sgravi fiscali per le famiglie più povere, mai come dopo queste elezioni il Labour appare un partito diviso che si rifiuta di seguire il comandante nella sua disfatta. La situazione è opposta per il raggiante David Cameron che dopo queste elezioni vede sempre più vicino il giorno in cui varcherà la porta di Downing Street. Il leader conservatore festeggia e prepara la strategia per le elezioni nazionali ma avverte che «non si possono vincere le elezioni passando sulla schiena di un governo moribondo».
Di sicuro questo risultato obbligherà Brown a quella riflessione sull'andamento del partito che negli ultimi tempi è stata proposta da diverse personalità di spicco. Dopo le voci degli ultimi giorni, secondo cui Tony Blair avrebbe dichiarato che Gordon Brown perderà alle elezioni contro Cameron, sono aumentate le preoccupazioni dei parlamentari che rischiano di perdere il posto. Ma al momento non sembra che Gordon Brown abbia la volontà di invertire quella disperata corsa verso il centro che ha offerto ai conversatori molti punti indifesi da attaccare nella campagna elettorale. Anche in queste elezioni locali Brown ha permesso a Cameron di presentarsi come paladino dei servii pubblici, dagli uffici postali minacciati di chiusura, degli ospedali pubblici a cui vengono diminuiti i fondi. Ma la principale responsabile della débâcle laburista è probabilmente la crisi economica che sta creando guai a molte famiglia inglesi. Dopo 10 anni di crescita continua in cui il Labour era riuscito a sedurre la classe media, ora le crepe del sistema economico creato in quel periodo si stanno abbattendo sopra il Labour e in particolare sull'ex cancelliere dello scacchiere, Gordon Brown.
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