Una bandiera della Lega Nord sta bell'esposta sul portellone del camion di un ambulante all'entrata del mercato di Cuneo in piazza Galimberti, dove ogni martedì centinaia di persone accorrono dalle campagne e sin dalla Francia per comprare vestiti, scarpe, prodotti per la casa. Sotto l'ombra dei tendoni, spiccano anche banchi gestiti da venditori cinesi e maghrebini. Fu da un balcone che si affaccia su questa piazza che Duccio Galimberti nel luglio del 1943 esortò i cuneesi alla resistenza contro il nazifascismo affermando che «la guerra continua fino alla cacciata dell'ultimo tedesco».
Oggigiorno, in assenza dello «straniero invasore» e delle SS di Joachim Peiper che appiccarono roghi nel paesino di Boves, a preoccupare un numero crescente di abitanti della Granda, sono gli immigrati, che si sono stabiliti velocemente in questa provincia a bassa densità di popolazione, che prima della crisi abbondava di posti di lavoro. A raccogliere i frutti di questa preoccupazione è stata la Lega Nord, che nelle ultime elezioni amministrative, ha ottenuto la guida della provincia, in precedenza in mano al forzista Raffaele Costa, liberale ex ministro della Sanità, esponente del notabilato e fustigatore degli sprechi della pubblica amministrazione. A succedergli a capo di una coalizione che ottenuto il 52% dei voti (di cui il 22% alla Lega), Gianna Gancia, 37enne, piccola imprenditrice vinicola, personaggio sconosciuto prima della campagna elettorale. Salita alla ribalta nelle vesti di compagna affettiva del Calderoli, ministro della semplificazione ed indossatore di magliette anti-maomettane.
Sono stimati attorno a 45.000 persone, circa l'8% della popolazione, gli immigrati nella provincia Granda. Comunità etniche che si sono installate in maniera specializzata nei diversi distretti di un'economia provinciale che detiene un livello record di imprese per abitante: i cinesi a lavorare come scalpellini nelle cave di pietra di Barge e Bagnolo, i macedoni a raccogliere l'uva nelle Langhe, gli indiani a mungere le vacche nella pianura, gli albanesi a lavorare nell'edilizia, le rumene a badare ai vecchietti di una popolazione sempre più anziana. «Dopo il caos degli anni '90, le comunità di migranti si sono ben stabilizzate - spiega Bruna Gerbaudo, del centro migranti del comune di Cuneo - In assenza di una politica pubblica d'integrazione, le catene migratorie si sono auto-organizzate, e spesso si sono integrate in maniera più diffusa e meno problematica rispetto ad altre zone del Piemonte e del Nord Italia».
Il livello di criminalità in questa provincia isolata e tranquilla continua ad essere ben sotto il livello di guardia, e al momento non vi è sentore di violenza a carattere razziale, nonostante un'indagine abbia mostrato un aumento di xenofobia nelle scuole. E per il momento a Cuneo niente ronde - assicurano i leghisti locali - «ma dobbiamo stare all'erta». Ma sta di fatto che qui come in altre zone della Padania, l'immigrato spesso suscita paura e sdegno, in particolar modo tra gli anziani e in alcune zone rurali marginali, dove negli ultimi anni e diventato sempre più difficile tirare a campare con un po' di vacche ed un noccioleto.
«Ma vui a la fin, seve cui ca stan coi moru o contra ai moru?» si è sentito chiedere nei mercati di paese il candidato del Pd Mino Taricco, assessore regionale all'Agricoltura. «La questione degli immigrati ha fatto una breccia enorme. - racconta Taricco - La gente associa mentalmente l'immigrato con i problemi economici, lo vede come il simbolo di una globalizzazione che ha portato insicurezza». Questo senso d'insicurezza, secondo Ezio Bernardi direttore de La Guida, il settimanale della curia sta favorendo «un mutamento genetico dell'elettorato cuneese, storicamente liberale per eccellenza, molto legato ai valori della resistenza e delle istituzioni e caratterizzato da un rifiuto degli estremismi. Sempre più quest'elettorato chiede interventi di rottura e si sente rassicurato dalla chiusura leghista».
Una chiusura che fa tanto più presa in un periodo di crisi economica che nel Cuneese sta divorando posti di lavoro mese dopo mese. «La cassa integrazione e cresciuta di più che nelle altre province del Piemonte», nota Sergio Dalmasso, consigliere regionale di Rifondazione. Licenziamenti a raffica nel distretto del vetro. Chiusa la storica cartiera Burgo di Ormea. In crisi pure la Alstom ferroviaria di Savigliano, la Italcementi di Borgo San Dalmazzo. E presto pure lo stabilimento Michelin di Cuneo in cui il Sin.Pa (sindacato padano) aveva ottenuto un'effimera maggioranza sindacale nel 2000, potrebbe entrare nel novero delle aziende in crisi. «Quello che rischia di passare in situazioni di crisi come questa, è l'idea che la precedenza nei posti di lavoro e nell'assistenza debba essere data alla popolazione locale», spiega Dalmasso «a soffiare su questo sentimento e la Lega, tra cui ci sono diversi matrici culturali, alcune più moderate, altre chiaramente xenofobe e di estrema destra».
Ma a stare a sentire Stefano Isaia, segretario provinciale della Lega Nord a soli trentun'anni, il successo della Lega cuneese non ha che fare con derive xenofobe, ma con «una politica del buonsenso rispetto all'immigrazione» che risponde «a quello che la gente ci chiede di fare». «Il fatto e che noi facciamo quello che gli altri partiti non fanno più. Abbiamo ventiquattro sedi locali, più di qualsiasi altro partito. Andiamo in giro in camper nei paesi, per offrire assistenza e consulenza e ad ascoltare i problemi della gente». Ed è proprio questo filo diretto con gli umori degli strati popolari della popolazione - il fatto di essere il partito delle bealere (i fossi) - ciò che gli altri partiti invidiano alla Lega. «La Lega ha smesso di fare filosofia e si e calata tra le persone - ammette Taricco - il centrosinistra deve rendersi conto che stiamo perdendo il collegamento con il territorio e che veniamo sentiti come lontani». Il rischio è che per riguadagnare il contatto con il territorio, il centrosinistra in vista delle difficili elezioni regionali della prossima primavera, sia tentato dalla scorciatoia di mostrare anch'esso i muscoli contro «i moru» - come hanno fatto tanti sceriffi democratici in giro per l'Italia - invece che impegnarsi nella strada più lunga ed impervia di sviluppare un nuovo modello sociale regionale per rispondere alla crisi economica.