Nel tuo libro tracci un giudizio severo del trattato di Kyoto. Perchè è fallito?
Una delle ragioni per cui è fallito consiste nel fatto che non c'era un limite a livello globale sulle emissioni di anidride carbonica. Inoltre ci sono paesi industrializzati che non avevano alcun limite da rispettare. Senza un limite globale è possibile che le emissioni continuino a crescere. Quello che è successo in effetti è che i paesi industrializzati hanno trasferito molte attività verso paesi in via di sviluppo. Inoltre, nel trattato di Kyoto, c'erano anche dei meccanismi di flessibilità come il mercato dell'anidride carbonica. Ma questi meccanismi di flessibilità non producono una riduzione delle emissioni. Sono buoni progetti in quanto tali, ma il loro effetto è irrilevante. Di fatto è difficile sapere cosa sarebbe successo se non fossero mai esistiti. Come conseguenza di questa situazione, le emissioni invece che diminuire sono aumentate. Secondo il Global
Carbon Project, dopo il 2000 le emissioni sono aumentate di 4 volte il tasso di crescita che avevano in precedenza.
Se Kyoto non ha funzionato perchè dovrebbe funzionare Kyoto2?
Al tempo del trattato di Kyoto c'era un minore senso di allarme. Di fatto l'obiettivo principale del trattato di Kyoto consisteva nel creare il mercato dell'anidride carbonica. La riduzione effettiva
delle emissioni non era considerata importante in questa fase. Oggigiorno di fronte a nuove ricerche e i primi effetti visibili del riscaldamento globale c'è un maggiore senso di urgenza. Questa è anchela conseguenza del fatto che nell'ultimo decennio la lotta al cambiamento climatico è andata indietro invece che fare passi avanti. Questo succede mentre l'effetto serra è già realtà quotidiana in diverse parti del mondo, come abbiamo visto con l'aumento di uragani e
siccità e con lo scioglimento rapido della calotta artica.
Qual'è la principale differenza tra il trattato di Kyoto e l'approccio che proponi in Kyoto2?
La proposta di Kyoto2 è il risultato dell'analisi di ciò che non ha funzionato. Un esempio è la proposta di un limite globale alle emissioni. Una delle principali ragioni del fallimento del trattato di Kyoto consisteva nel definire un tetto alle emissioni a livello nazionale. Questo non ha senso anche perchè nell'era dell'economia globale tu puoi avere una fabbrica inquinante a Singapore, che usa brevetti giapponesi e produce per l'Europa. Allora la domande sorge:
come puoi affermare la responsabilità tra nazioni in questa situazione? Il principio dovrebbe essere che chi inquina paga, evitando che chi paga non passi i costi in pieno ai consumatori. Per
fare questo secondo me abbiamo bisogno di un sistema serio di mercato per acquistare diritti alle emissioni. E attraverso questo mercato possiamo raccogliere una somma considerevole, mille miliardi di dollari all'anno, più del piano di salvataggio delle banche lanciato
dal governo Bush. Questi soldi possono essere utilizzati per lottare sia contro gli effetti che le conseguenze del cambiamento climatico. Cambiare il settore energetico, dando sussidi alle fonti rinnovabili, aiutare le nazioni in via di sviluppo a cambiare tecnologia e adattarsi alle conseguenze e salvare le foreste che sono un deposito fondamentale di anidride carbonica.
Ma il mercato delle emissioni non è stato la maggiore ragione del
fallimento del protocollo di Kyoto? Perchè continuare su questa strada?
Il fatto è che sotto il protocollo di Kyoto i crediti per le emissioni erano di fatto immaginari. C'erano tanti progetti in cui i tagli alle emissioni erano impossibili da dimostrare. Nella mia proposta invece ci sono veri e propri diritti alle emissioni. Di fatto il sistema che propongo è abbastanza simile al mercato europeo delle emissioni che assegna diritti chiari. E' un sistema molto più solido per il commercio. L'aspetto fondamentale è che ci sono permessi per produrre
gas serra e che questi permessi sono venduti a livello globale. A volte le persone scopriranno che hanno troppi permessi, altri troppo pochi. Il mercato è la maniera più efficace per garantire flessibilità in questo sistema. L'altra differenza principale nella mia proposta è
che le emissioni vengono controllate a valle nei punti in cui i carburanti fossili sono concentrati, ad esempio pozzi di estrazione, raffinerie. E' molto più facile controllare pochi siti di produzione
piuttosto che milioni di inquinatori.
Il mercato delle emissioni in questo modo non diventa una specie di sistema di tassazione globale sul modello delle proposte fatte sulla Tobin Tax in questi anni?
Certamente. E' una specie di sistema di tassazione globale. Si possono raccogliere mille miliardi di dollari all'anno con questo sistema. Soldi che sono sufficienti per coprire dell'impatto del cambiamento climatico e liberare l'economia globale dalla sua dipendenza dai carburanti fossili. E una volta che l'energia alternativa è diventata una fonte competitiva con l'energia prodotta da petrolio e carbone, il suo costo scenderà e non ci sarà più bisogno di sussidi. Negli ultimi
anni abbiamo visto cosa sta succedendo con l'aumento del prezzo petrolio. Le fonte rinnovabili sono l'unica maniera per evitare la crisi energetica in cui siamo entrati.
Ma questo progetto richiederebbe una potente agenzia governativa internazionale. Come pensi sia possibile farlo, con le Nazioni Unite che sono a un minimo storico di credibilità e influenza?
Questo dipenderà tutto dalla volontà del mondo politico. Le Nazioni Unite sono più della somma degli Stati che vi partecipano ma la sua forza dipende fondamentalmente dalla loro disponibilità. Se i governi membri saranno capaci di sostenere questa direzione, questo non lo so.
Se non ci sarà il loro appoggio la lotta al cambiamento climatico fallirà. Temo che questo sarà il caso. Questa è una questione molto delicata. I governi trovano difficoltà a essere corraggiosi e creativi di fronte a questo problema. Ma dobbiamo continuare a sperare che ce la possano fare.
Che dire allora del governo italiano che si rifiuta di rispettare i
limiti definiti dall'Unione Europea per la lotta all'effetto serra?
Mi sembra una dimostrazione di pigrizia, un'atteggiamento miope da parte di un paese che ha solo da guadagnare dal cambiamento economico portato dalla lotta all'effetto serra. L'Italia è un paese bagnato dalla luce del sole che ha ottime possibilità come produttore di energiasolare. Abbiamo visto come in Spagna e Portogallo c'è stata una corsa all'energia solare e la stessa cosa è successa pure in Germania che certo non ha il sole dell'Italia. Eppure l'Italia rimane indietro.
Perchè? Dovrebbe essere nell'interesse stesso dell'Italia di avviare questo cambiamento economico.
Il nostro governo dice che tanto i tagli sono inutili, e Berlusconi ha più volte affermato che l'effetto serra sarà un problema dei nostri nipoti.
Che dire allora dell'aumento delle temperature e degli incendi che succedono già ora? Dovete prepararvi per problemi con l'approviggionamento acqua, con lo scioglimento dei ghiacciai al Nord e la desertificazione nelle regioni del sud. Più tardi si affronta il problema peggio sarà per tutti ed in particolare per voi italiani. Alcune regioni del vostro paese potrebbero diventare completamente inabitabili se non si prende il problema seriamente ed in tempo.
Con la crisi finanziaria molti politici affermano che non ci sono più i soldi per la lotta al cambiamento climatico. Che le priorità sono cambiate.
E' esattamente il contrario. Se c'è una cosa che la crisi finanziaria ci dovrebbe insegnare è che sistemi complessi possono crollare da un momento all'altro se si crea instabilità. La stessa cosa vale per il clima. Ci sono una serie di feedback positivi. Se la calotta polare artica scioglie, per esempio, diminuisce la riflettività del pianeta, ed aumenta l'effetto serra. E' come un effetto domino, simile a quello che abbiamo visto con il crollo delle banche. E' una cosa da non
prendere sottogamba, se non fermato in tempo rischia di diventare irreversibile. Poi il cambiamento climatico è di una gravità di tutto altro ordine di grandezza. Il pianeta rischia davvero di diventare inabitabile. Mi sembra una cosa un po più grave che avere difficoltà
ad ottenere prestiti.