giovedì 9 aprile 2009

«Lavoratori fregati? Noi resistiamo»

«Ci hanno chiamato tutti quanti a raduno alla fine del turno - spiega Pasquale, 43 anni, immigrato italiano di seconda generazione, l'accento casertano, appena spezzato da trent'anni vissuti nel regno di Elisabetta II -. Gli ci sono voluti 6 minuti per dirci che eravamo licenziati. Ce ne siamo andati tutti quanti a casa, rassegnati. Quasi senza dirgli niente a quelli, tanto eravamo choccati. Dopo tanti anni di lavoro essere trattati così, come animali!». Fuori dal cancello della fabbrica occupata della Visteon, una sussidiaria della Ford che produceva parti di plastica per automobile, stanno parcheggiate le utilitarie delle famiglie che hanno appena portato da mangiare ai lavoratori barricati nello stabilimento. Donne e bambini inglesi, indiani, lituani, italiani, giamaicani.
La fabbrica - a Enfield nella periferia a nord di Londra - è stata occupata il 1 aprile assieme a due altri stabilimenti, quello di Basildon nell'Essex, dove l'occupazione è già stata sgomberata e quello di Belfast nell'Irlanda del Nord, dove invece prosegue. 600 lavoratori hanno perso il posto per la chiusura della Visteon. Solo qui a Londra, per 200 persone si prospetta la disoccupazione. Ma i lavoratori non si rassegnano.
All'entrata della fabbrica uno striscione da il benvenuto ai visitatori denunciando «Banchieri salvati - Lavoratori fregati». Sulla balconata al di là dei cancelli, le bandiere del sindacato, e un cartello che avverte le autorità e i proprietari di tenersi alla larga. Su una rete dall'altro lato della strada messaggi di sostegno, cartelli e bandiere di sindacati, gruppi socialisti ed anarchici. Sopra le teste degli attivisti e della gente comune venuta a portare la propria solidarietà un cielo azzurro «che sembra di essere in Italia» appena punteggiato da nuvole, che proiettano la loro ombra sui capannoni abbandonati di questo distretto industriale dimenticato.
«Ci è voluta una notte per riprenderci dallo choc - spiega Maria, originaria di Canicattì -. Sono stati i più giovani a cominciare. Si sono detti no, questo non va bene. Si sono incontrati e ci hanno mandato a tutti degli Sms. Il mattino seguente alle dieci ci siamo ritrovati laggiù sulla strada che porta alla fabbrica. Eravamo arrabbiati! - dice quasi sottovoce, menando la mano nell'aria come se si fosse appena scottata - Arrabbiati si.. ma che cosa fare mica lo sapevamo! Poi qualcuno dei ragazzi che era andato a dare un'occhiata ci viene incontro con un sorriso e ci dice "si sono dimenticati un cancello aperto!". Un gruppo di uomini è entrato ed ha occupato lo stabilimento». A noi al momento nello stabilimento non ci fanno entrare. «Motivi di sicurezza» ci spiegano. Allora Carmine, un'altro operaio di origine italiana che lavora per la Visteon, decide di portarci a vedere i pezzi già lavorati, stoccati di fronte all'impianto. Centinaia di sagome di plastica nera, interni di automobile giacciono sull'asfalto. «Questo è l'interno di una Land Rover» - dice Carmine sollevando un pezzo di plastica ormai destinato alla spazzatura. «Mi sa che di questi tempi non c'è molta gente che si compra una Land Rover» obiettiamo. «Mica solo la Land Rover. Neppure Toyota, Ford o altri marchi più economici si comprano. La gente i soldi che c'ha li usa per comprarsi il pane mica le macchine!». Pasquale invece ci spiega la tecnica di lavorazione, l'iniezione di plastica nello stampo, la schiumatura, la verniciatura degli interni. Processi che ha imparato nei vent'anni passati in questa fabbrica. «Che deve fare la gente una volta che ha finito di lavorare qua? Mica siamo lavoratori qualificati noi. Fuori di qua un lavoro non ce lo da nessuno».
Gente con i mutui da pagare, con i figli da mandare a scuola. Gente che si era illusa che lavorando in questa fabbrica sussidiaria della Ford avrebbe avuto un lavoro garantito. «Lavorare per la Ford era ottimo - conferma Maria. Le condizioni che ci davano erano proprio buone. Per questo una donna della mia età è andata avanti tutti questi anni a fare i turni».
Molti dei lavoratori che incontriamo sono stati assunti quando la fabbrica era ancora sotto le insigne della Ford. Poi nel 2001 la multinazionale americana decide di scorporare la Visteon, per usare i suoi stabilimenti per produrre interni di altre marche come Toyota, Land Rover, Jaguar. «A noi c'hanno spiegato che così si poteva lavorare di più che era solo una cosa di branding sai.. che il contratto rimaneva identico. Hanno riverniciato sul muro della fabbrica la striscia blu della Ford con l'arancione della Visteon. Sembrava fosse tutto lì». Ma dopo pochi anni cominciano i problemi. Un giorno, due anni fa, il responsabile dello stabilimento si presenta nello stabilimento a dettare nuove condizioni. I lavoratori si rifiutano di accettarle. «Da quel giorno ci ha giurato vendetta» riflette Carmine. «Nell'ultimo periodo noi sentivamo che qualcosa non andava nel modo in cui i capi si comportavano - ricorda Pasquale. - Loro ci dicevano "C'è la crisi: dobbiamo cercare di risparmiare per andare avanti". Noi siamo stati comprensivi, volevamo aiutare l'impresa. Siamo passati da tre turni a un turno solo. Li abbiamo aiutati più che potevamo. Abbiamo perso una media di 100 sterline a testa a settimana pur di aiutare la compagnia. Qual è stata la ricompensa? Hanno usato la scusa della crisi per farci fuori!».
La gente non si toglie di testa la minaccia della chiusura. I pensieri corrono alle trattative che il sindacato Unite sta tenendo con la Ford. «Derek Simpson (segretario di Unite, ndr) in questo momento è su un aereo per New York» dice Deborah, 47 anni di cui 20 passati nella fabbrica. Ma i lavoratori non sono poi tanto entusiasti per la maniera in cui il sindacato si è comportato. «A parte i delegati di stabilimento non abbiamo ricevuto molta solidarietà dai dirigenti del sindacato. Li abbiamo dovuti mettere con le spalle al muro per farci dare una mano» - si lamenta Mel, un operaio inglese. Dal megafono un'operaia chiama i lavoratori all'assemblea. «Fate entrare il giornalista italiano» - cambiano idea. Dentro il reparto vernici, i lavoratori stanno ancora finendo di mangiare. Sui tavoli patatine, riso giamaicano, piatti indiani e pasta. Per terra, materassini e sacchi a pelo stesi a pochi metri dalle macchine che questi lavoratori non si rassegnano ad abbandonare. Ci fanno salire sul tetto a vedere l'estensione dello stabilimento. Poi un lavoratore prende da parte il fotografo. «Fate piano che cerchiamo di fotografare gli addetti alla sicurezza. Brutta gente quella. Gente si è fatta le ossa nell'esercito. Li hanno fatti venire dal Sud Africa». Ma nonostante due tentativi i lavoratori non sono mica riusciti ancora a scacciarli.
Sul tetto a fianco delle bandiere dei sindacati sventolano, la bandiera Britannica, la bandiera Indiana, bandiere africane e dell'Europa dell'Est, a celebrare la composizione multietnica dei lavoratori dello stabilimento. «Ci vogliono pure togliere le pensioni - si lamenta Carmine. - Fred Goodwin il banchiere della Royal Bank of Scotland ha rubato 70 milioni di sterline di pensione. Qua con 20 milioni di sterline si coprono le pensioni di tutti. Noi invece vogliamo solo quello che ci spetta e ce lo prenderemo. Quelli mica se l'aspettavano una resistenza cosi!».

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