Un sospiro di sollievo percorre l'Irlanda dopo che la vittoria del si al referendum sul trattato europeo invade l'etere. Non solo per un risultato che aggancia saldamente l'Irlanda ad un Europa vista sempre più come un salvagente in mezzo alla tempesta, ma pure per la sensazione di essersi tolti di mezzo un fastidioso impaccio per un paese che sembra avere al momento ben altre urgenze che l'oscuro progetto di riforma delle istituzioni della Unione europea. Il si stravince con il 67% contro il 32.9 del no, superando le previsioni e dando il via libera all'implementazione del trattato di Lisbona, a meno di sorprese che potrebbero arrivare da Polonia, e Repubblica ceca, gli unici due paesi che assieme all'Irlanda non l'avevano ancora ratificato.
Il 20% degli elettori irlandesi hanno cambiato opinione rispetto al referendum del giugno 2008, dove prevalse il no. Un responso legittimato da un'affluenza del 58% in aumento rispetto al 53% di un anno fa, con molti elettori che hanno approfittato delle ultime ore a disposizione per partecipare alla consultazione. Festeggia il premier («Taoiseach» in gaelico) Brian Cowen che rischiava di affondare se fosse passato nuovamente il no e che ieri affermava che «dobbiamo lavorare con i nostri partner europei per assicurare che le riforme di questo trattato vengano attuate». E festeggia pure la tecnocrazia di Bruxelles, con Manuel Barroso che ieri ha accolto raggiante il risultato sostenendo che «l'Irlanda ha riconosciuto il ruolo che l'Unione europea ha giocato per rispondere alla crisi economica».
Delusione sul fronte del no. Declan Ganley, il businessman leader del gruppo anti-europeista Libertas, ha sostenuto «che non siamo riusciti a prevalere, ma abbiamo detto la verità e sono orgoglioso di questo». Per il parlamentare europeo del partito socialista Joe Higgins, il risultato è frutto di una «campagna di paura ed intimidazione sostenuta dalla élites politiche d economiche e dal mondo dei media».
L'impressione che si registra parlando con gli elettori a Dublino è che la sconfitta del referendum un anno fa fosse dovuta a una carenza di informazione riguardo al contenuto del trattato. «Bene per noi e bene per l'Europa. Questa sera ci sarà da brindare a pinte di Guinness per me e per te», afferma un signore di 63 che abita nella zona sud della capitale irlandese, che ha visto uno dei maggiori spostamenti di voto dal no al si. «C'erano un paio di punti del trattato che la gente non aveva capito, per colpa del governo che non aveva spiegato bene per cosa si andava a votare. Noi non siamo mica come gli inglesi. Noi ci crediamo all'Europa. E con questo referendum siamo riusciti a rimanere ancora una volta al centro del dibattito e a mantenere un'influenza molto grande considerando che siamo una piccola nazione».
La campagna per il referendum si è concentrata sulla situazione economica in un paese dove la disoccupazione ha raggiunto quota 12,6%. La tigre celtica, si è trasformata in un micietto impaurito nel giro di pochi mesi, con il Fondo monetario internazionale che prevede che nel 2010 l'economia irlandese si sarà contratta del 13% rispetto al 2008, una vera e propria decimazione. Responsabile per il collasso una politica economica che ha puntato ancora più che altrove sul settore immobiliare, come pure il crollo della sterlina, che ha affossato il valore delle esportazioni in un paese per cui il Regno unito è il primo partner commerciale. Di fronte a questa situazione molti elettori hanno ritenuto più prudente dare un segnale di fedeltà alle istituzioni europee, che in passato avevano riversato ingenti quantità di denaro nel quadro dei programmi regionali di sviluppo.
La vittoria nel referendum allunga la vita all'impopolare governo di Brian Cowen, del liberale Fianna Fail, sostenuto pure dai verdi. Un esecutivo che si trova ai minimi di popolarità ed è accusato pure di sprechi e di corruzione. Ma secondo molti commentatori la fine è vicina, e Brian Cowen sarà mandato a casa prima di Natale. Il prossimo ostacolo è l'approvazione in parlamento del controverso provvedimento NAMA (National Asset Management Agency), che creerebbe un'ente per comprare 4 miliardi di euro di «titoli tossici», e che segue un simile piano da 2 miliardi varato a gennaio. Un intervento che vale il 2% del pil e i cui fondi saranno raccolti con pesanti tagli alla spesa pubblica. I sindacati hanno affermato che si tratta di una «decisione brutale» e hanno annunciato una grande protesta per il 6 di novembre.
Il risultato positivo del referendum irlandese potrebbe innescare una reazione a catena in Cecoslovacchia e Polonia che erano rimasti alla finestra in attesa del responso irlandese come. Forte imbarazzo tra i conservatori britannici che ieri hanno aperto il loro congresso a Manchester e con David Cameron primo ministro in pectore che potrebbe essere costretto ad un'imbarazzante passo indietro sull'opposizione al trattato di Lisbona, per non isolarsi ulteriormente sul fronte europeo dove si è già fatto molti nemici.
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