Un'inchiesta pubblica sulla guerra in Iraq. Però fatta in segreto, si intende. Questa è la paradossale iniziativa lanciata ieri dal primo ministro Gordon Brown per rispondere a chi ormai da anni chiede di chiarire perché il Regno Unito si sia unito all'avventura di Bush in Medio Oriente. «Ora che gli ultimi soldati britannici stanno abbandonando l'Iraq è venuto il momento di imparare alcune lezioni sugli eventi complessi e controversi che hanno segnato gli ultimi anni», ha dichiarato il primo ministro. La commissione di inchiesta che ricostruirà non solo la decisione di entrare in guerra, ma anche la condotta dell'esercito di Sua Maestá durante i sei anni di occupazione e «ricostruzione» del territorio iracheno, sarà modellata sulla commissione Franks che nel 1982 investigò le cause della guerra delle Falkland, il conflitto che salvò la carriera di Margaret Thatcher.
A gestire l'inchiesta sarà un «privy council», una commissione di saggi che intervisterà a porte chiuse diverse persone informate dei fatti tra cui ministri, funzionari dei servizi segreti e generali, e che produrrà una relazione finale che - questa sì - verrà resa pubblica. I saggi nominati da Brown sono la baronessa Usha Prashar, l'ex ambasciatore a Mosca Roderick Lyne, il professore di studi strategici Lawrence Freedman e il biografo di Churchill, Martin Gilbert. Un fior fiore dell'alta societá britannica guidato da Sir John Chilcot, diplomatico di carriera, già parte della commissione respnsabile per la Butler Review, l'inchiesta che nel 2004 cercó di accertare gli errori di intelligence sulle famose armi di distruzioni di massa usate come casus belli e mai rinvenute. Alla fine dei lavori la commissione quella commissione aveva raccomandato al governo di trattare le informazioni ricevute dai servizi segreti con piú attenzione, ma aveva glissato sulle responsabilitá politiche. Un esito edulcorato che rischia di ripetersi anche in questa occasione.
«Ragioni di sicurezza nazionale», ha risposto il primo ministro a chi dai banchi dell'opposizione - e in particolare tra i Liberaldemocratici - si è detto insoddisfatto del mantenimento del segreto di stato su diversi documenti scottanti. Nick Clegg, leader del partito che da tempo si batteva per una commissione di inchiesta sul conflitto, ha affermato che che «al governo non dovrebbe essere permesso di chiudere questa guerra cosí come l'ha aperta: in segreto» e ha rimarcato la propria condanna della guerra in Iraq, definendola «il piú grande errore in politica estera dopo l'invasione del canale di Suez negli anni '50».
Per niente soddisfatta per le modalità con cui il governo ha deciso di imbastire l'inchiesta è anche Stop the War. La coalizione anti-guerra ha convocato ieri pomeriggio di fronte a Westminster una protesta che ha accolto con fischi e boati di disapprovazione l'annuncio dell'apertura della commissione d'inchiesta. In un comunicato diffuso nella giornata, Stop the War ha dichiarato che un'inchiesta pubblica «dovrebbe comprendere la pubblicazione di resoconti delle riunioni di gabinetto e audizioni pubbliche di ministri e funzionari». Documenti che imbarazzerebbero Brown, che stando ad alcune testimonianze, pur avendo titubato durante le ore decisive dell'entrata in guerra, diede il nulla-osta a Tony Blair pur di salvarsi la poltrona di cancelliere dello scacchiere.
La decisione di Brown di lanciare una commissione di inchiesta sulla guerra in Iraq é stata letta nei giorni scorsi come una concessione fatta alla sinistra del partito, che lo ha salvato in extremis non unendosi alla rivolta dei peones del partito che aveva portato Brown sull'orlo della caduta alla vigilia delle disastrose elezioni europee di inizio mese. Ma ancora una volta Brown ha dimostrato di venire meno alle sue promesse di moralizzazione di un sistema politico minato dallo scandalo dei rimborsi gonfiati dei parlamentari. Come ha affermato ieri Clegg, «la scorsa settimana aveva promesso una politica basata sulla responsabilità e sulla trasparenza. Questo era il suo primo test. L'ha fallito».
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