Nel 2004 il Labour lo aveva parcheggiato a Bruxelles, nella posizione di commissario europeo per il commercio, chiamato a portare in Europa il verbo mercatista del New Labour. Ieri Gordon Brown lo ha richiamato in patria a salvare il paese dalla crisi dei mutui. L’insediamento di Peter Mandelson è il colpo a sorpresa del rimpasto effettuato da Gordon Brown per rimettere in fila il governo e ad approfittare dell’emergenza economica ricostruire il consenso perduto dopo un anno disastroso al governo.
Il primo ministro chiama in aiuto quello che è stato uno degli inventori del New Labour, un blairiano di ferro che era considerato un nemico di Gordon Brown. L’attuale primo ministro non gli perdonò di aver appoggiato Tony Blair invece che lui alla guida del partito, dopo la morte improvvisa di John Smith nel 1994. Blair lo prese sotto le sue ali e vista la sua esperienza come produttore televisivo gli affidò il coordinamento della comunicazione del partito per la vittoriosa campagna del 1997, che spedì a casa, gli odiati conservatori. I modi efficaci e senza scrupoli con cui ha influenzato la rappresentazione del Labour party nei media nazionali gli sono valsi l’epiteto di «principe delle tenebre».
Alla fama di manipolatore non hanno certo giovato gli scandali in cui è incappato mentre era al governo. Nel primo governo Blair, fu ministro con compiti di coordinamento e responsabile per il progetto del Millenium Dome. Il mastodontico spazio espositivo, costruito sulle rive del Tamigi, doveva essere un monumento alla «Cool Britannia» del periodo New Labour. Sin dall’esposizione inaugurale, dedicata al nuovo millennio, l’opera si rivelò un flop con un enorme buco in bilancio.
Ma Mandelson si dovette dimettere per uno scandalo privato: un prestito senza interessi da un compagno di partito. Dieci mesi dopo, nell’Ottobre 1999, fu rimesso al governo come Segretario di Stato per l’Irlanda del Nord. Ma dopo poco più di un anno fu costretto a dimettersi nuovamente. Questa volta per aver fatto pressione perché un imprenditore indiano ottenesse la cittadinanza britannica.
Di fronte agli attacchi giunti da destra e sinistra dopo l’annuncio del ritorno di Mandelson, Gordon Brown ha risposto che «persone capaci sono necessarie per fronteggiare tempi difficili. Lui ha un’esperienza senza rivali come commissario europeo per il commercio». L’altra carta giocata da Brown per dimostrare la sua leadership di fronte alla crisi economica è la creazione di una «commissione economica nazionale», una specie di consiglio dei ministri ristretto, che si dovrebbe riunire una volta a settimana per fronteggiare la crisi finanziaria e i suoi impatti sull’economia reale. Questa commissione sarà in consultazione con 17 «ambasciatori del business», tra cui figurano i manager di alcune delle più grandi multinazionali inglesi: la banca Barclay’s, la catena commerciale Sainsbury’s, la Vodafone, la Borsa di Londra, la fabbrica di armamenti BAE Systems. Un altro chiaro segnale che il Labour è ostinatamente amico del business, anche in tempi di sventura.
Per il resto il rimpasto rivela poche sorprese. Più che altro di movimenti tattici di pedine, che premiano sia gli accoliti di Brown che i Blairiani che sono rimasti fedeli durante la crisi di fiducia nel governo degli ultimi mesi. Il possibile successore David Miliband mantiene il ministro degli esteri, mentre suo fratello Ed, sottosegretario alla presidenza del consiglio, guadagna responsabilità su clima ed energia. Così Brown spera di riassestare l’esecutivo che dopo la conferenza del Labour, il mese scorso, ha accorciato la distanza dai conservatori nei sondaggi, che rimangono comunque con dieci punti di vantaggio. Nella conferenza del partito conservatore che si è chiusa ieri, il leader del partito, David Cameron ha promesso «un impegno tanto forte sul sociale come quello che era stato fatto sull’economia dalla Thatcher». Con questo rimpasto Brown invece punta tutto sull’economia.
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