«È venuto il momento di passare dall'anti-capitalismo al post-capitalismo. Oramai che il sistema sia malvagio, non c'è più bisogno di dirlo. Lo dice pure la stampa conservatrice. Quello di cui abbiamo bisogno è fare vedere che ci sono alternative e metterci a realizzarle». John Jordan è uno degli «inventori» di Reclaim The Streets, il celebre movimento per la riappropriazione dello spazio cittadino che fa parte della mitologia del decennio no global. Negli ultimi anni è stato una delle menti creative del Climate Camp, il campeggio di protesta contro il cambiamento climatico, l'espansione degli aeroporti e la costruzione di nuove centrali a carbone. Per Jordan «il G20 sarà un momento decisivo. Cominceremo a vedere che cosa viene dopo il movimento anti-globalizzazione».
Qual è la differenza tra gli anti-G20 e il movimento no global?
È difficile parlare del movimento nella sua interezza, a causa della grande diversità delle sue componenti. Tuttavia, da un punto di vista inglese si può affermare che per noi uno spartiacque furono le proteste contro il G8 a Gleneagles nel 2005. In quell'occasione il governo riuscì a cooptare il movimento globale, usando come tramite la coalizione di Ong Make Poverty History, e le star Bono e Bob Geldof. Da quell'esperienza imparammo che non ci si può appiattire sugli eventi, come i contro-summit, ma che le proteste devono creare degli spazi. Questo è quello che abbiamo fatto con il Climate Camp negli ultimi anni, in cui il campeggio di protesta non serve solo per ospitare gli attivisti ma anche come scuola su energie alternative e forme di vita sostenibili.
Eppure mentre il capitalismo traballa, quello che sembra mancare sono proprio alternative credibili.
Le alternative ci sono, c'è solo bisogno di applicarle. Se durante l'inizio del movimento no global la gente si concentrò sulla denuncia delle falle del sistema, dopo l'11 settembre passò a mostrare che le alternative sono qui. Durante gli ultimi anni la gente che ha attraversato il movimento ha imparato una quantità impressionante di tecniche, indispensabili per creare una società diversa: come usare energie alternative, come creare un'economia sostenibile, come prendere decisioni in modo democratico. Ora è venuto il momento di applicare queste tecniche che abbiamo imparato per riempire il vuoto creato dal crollo del capitalismo. Dobbiamo fare tutto questo ma pure continuare a protestare, unendo il no della protesta al sì dell'alternativa.
Di proteste contro la crisi nel Regno Unito non se ne sono viste molte negli ultimi mesi.
In Islanda e Ungheria i governi sono caduti per la crisi finanziaria, in Francia la gente è scesa in piazza in massa e in Grecia sappiamo tutti quello che è successo. Però se si parla del Regno Unito è vero che finora non c'è stata una grande mobilitazione. I giornali dicono ogni giorno che la gente è arrabbiata e vuole distruggere tutto, ma dall'altro lato c'è la percezione che attivisti e gruppi politici stiano aspettando che il capitalismo si affossi da solo prima di farsi avanti per proporre alternative. Bisogna aspettare per capire cosa succederà. Il nuovo movimento avrà probabilmente un carattere più popolare rispetto al movimento no global, così come si è visto negli altri paesi europei in cui ci sono già state grandi proteste.
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