“Sono convinto che la crisi riesploderà presto, perché le cause
strutturali della crisi non sono state affrontate”. Richard Sennett,
studioso del nuovo capitalismo e del lavoro flessibile, nato a Chicago
nel 1943 e professore emerito di sociologia alla London School of
Economics, sostiene che la crisi ha portato ad un aggravamento della
situazione di incertezza e del lavoro flessibile portata dal
neoliberismo. In questa situazione la sinistra è preda della
moderazione proprio nel momento in cui servirebbero soluzioni radicali
come la nazionalizzazione del sistema bancario. Secondo Sennett, di cui
in Italia sono stati pubblicati la Cultura del Nuovo Capitalismo,
L’Uomo Flessibile e per ultimo L’Uomo Artigiano, la via di uscita dalla
crisi potrebbe essere un ritorno al manifatturiero, fronte su cui
l’economia italiana può fornire un modello all’economia europea.
*Governi e imprenditori sostengono che siamo fuori dalla crisi. Eppure
le economie stentano a riprendersi e la disoccupazione continua ad
aumentare. Dobbiamo credere a queste sirene?*
La maggioranza dei governi europei ha introdotto misure leggere per
limitare il capitale finanziario, ma non hanno compreso che questa e’
un’attività che è inerentemente distruttiva, che rovina compagnie,
che distrugge posti di lavoro, e non si può semplicemente metterle i
freni. Anche se l’Europa si trascinasse avanti per tre o quattro anni
la crisi succedera’ nuovamente. E penso che la prossima volta l’Europa
avra’ ancora meno margini per riprendersi. Siamo a rischio di
diventare quello che l’America Latina era durante gli anni ’60, un
continente con molte risorse ma assolutamente auto-distruttivo.
*I lavoratori flessibili che tu descrivi nei tuoi libri sono state le
vittime designate di questa crisi, i primi ad essere sacrificati dai
licenziamenti. Siamo di fronte ad una crisi strutturale del modello
del lavoro flessibile?*
Certamente i lavoratori flessibili, quelli che erano l’avanguardia del
nuovo capitalismo, lavoratori nelle industrie hi-tech, industrie
culturali e nella finanza, hanno sofferto in maniera particolare le
conseguenze della crisi. Ma quello che stiamo vedendo è’ piuttosto
un’estremizzazone del sistema di lavoro flessibile. Da un punto di
vista strutturale la cosa piu’ impressionante della crisi è che ha
espanso l’area di lavoro part-time. E quel lavoro part-time è stato
occupato da lavoratori che in precedenza erano occupati a tempo pieno.
Si tratta in particolare lavori nel settore dei servizi, nei
supermercati, nei grandi magazzini, ma pure nei giornali e nelle
industrie culturali.
*Le altre grandi vittime della crisi sono i giovani, che oggi più che
mai scontano l’inefficienza del sistema.*
Stiamo entrando un decennio perduto per le persone giovani, ed avremo
una generazione perduta. Il Giappone ha avuto una prefigurazione
durante gli anni ’90 di quello che sarebbe successo 12 o 15 anni più
tardi in occidente. La finanza che collassa. Persone qualificate che
non trovano lavorare per 6 o 8 anni. Persone che non torneranno mai
piu’ lavorare. Persone che hanno perso un decennio della loro vita. La
generazione che e’venuta dopo ha visto come era la situazione, ed in
molti hanno scelto scuole tecniche piuttosto che l’università. Una
volta tutti cercavano di entrare nelle università prestigiose. Gli
adolescenti giapponesi ora sono molto piu’ realistici. Ed è quello
che succederà da noi. L’Università di Venezia non avrà più
migliaia di studenti di architettura. La nuova generazione è fregata
dal sistema e dovrà inventarsi nuovi modi per sopravvivere.
*Il capitalismo finanziario è in crisi, ma i sentimenti della gente
sembrano essere riassunti bene da una vignetta comparsa nell’ultimo
numero dell’Economist in cui una folla incoraggia la locomotiva del
capitalismo che sbuffa in salita.*
Questa fiducia è dovuta al fatto che il sistema ha incoraggiato le
persone a credere è che c’è più mobilità sociale in questo
capitalismo flessibile. Ma i dati statistici suggeriscono una
situazione opposta. Negli anni ’50 e ’60, che vengono idenfiticati con
un capitalismo sclerotico e burocratico, i tassi di mobilità verso
l’alto per la classe operaia e la classe media erano decisamente più
alti di quelli degli anni ’90. E la ragione è strutturale. In un
sistema di capitalismo finanziario fondamentalmente si spremono le
classi medie. Saskia Sassen [compagna di Sennett e sociologa urbana
ndr] è tornata dalla Cina la scorsa settimana e mi ha detto che ciò
che è veramente interessante nella situazione laggiù è che i cinesi
vogliono diventare classe media ma ciò che vedono è che la promessa
di mobilita’ non viene realizzata dal sistema, ed è per questo che ci
sono tante proteste al momento tra i lavoratori cinesi.
*Nonostante la situazione di sofferenza dei lavoratori, i sindacati non
sembrano essere in grado di reagire adeguatamente all’ondata di tagli.
E’ questo il risultato dell’individualizzazione della forza lavoro
seminata durante gli anni d’oro del neoliberismo?*
La mancanza di risposte collettive alla crisi e’ dovuta esattamente
alla situazione di incertezza in cui si sono messi i lavoratori negli
ultimi anni. I sindacati adesso si chiedono di colpo ma com’è che non
possiamo mobilitare queste persone. Ma la risposta è chiarissima.
Questi lavoratori non possono permettersi di scioperare, perche’ se
scioperano non avranno alcuna protezione. Sono in una condizione
incredibilmente insicura in cui non possono alzare la testa.
*Non solo i sindacati ma anche i partiti di sinistra sembrano incapaci
di cogliere la sfida della crisi. Così in Gran Bretagna come in
Germania sono stati eletti esecutivi liberal-conservatori, che
continuano a sostenere il verbo del neoliberismo.*
Penso che per quanto riguarda la sinistra, abbiamo avuto 50 anni in
cui abbiamo cercato di dimostrare che noi non siamo come quei
cattivoni stalinisti, che siamo gente a modo, che siamo amici del
business, che vogliamo essere parte del mondo moderno. Sono stati
cinquant’anni rivolti al passato. Di fronte ad un sistema distruttivo
la sinistra non ha niente da dire ai lavoratori. Recentemente sono
stato ad un incontro sindacale prima delle elezioni, e mi hanno
chiesto tu cosa faresti? Io ho risposto che se fosse per me
nazionalizzerei l’intero sistema bancario. Penso che bisognerebbe
trattare il sistema finanziario nello stesso modo in cui si tratta la
salute. Una cosa che richiede il controllo dello stato. E ho visto
questi membri del sindacato, e ripeto membri del sindacato che mi
dicevano – non si possono dire queste cose! Abbiamo bisogno di dare
una risposta molto piu’ radicale a quello che sta succedendo. Dobbiamo
abbandonare le pretese di socialdemocrazia. Si continua a voler dare
ai lavoratori un paio di protezioni in piu’, o due spiccioli in piu’
invece che modificare veramente il sistema economico. Dobbiamo tornare
a parlare di socialismo altrimenti la gente non ci capisce.
Come uscire dalla crisi? Quale modello produttivo? In Gran Bretagna si
e’ fatto un gran parlare di un ritorno al settore manifatturiero come
antidoto alla crisi del sistema finanziario. Questa e’ del resto la
soluzione che tu suggerisci nel tuo libro, l’Uomo Artigiano.
Qua in Gran Bretagna ne hanno parlato per gli ultimi due anni, ma non
hanno mai creato alcun programma per incoraggiare i giovani a
diventare artigiani. Era un’idea interessante ma non se ne e’ fatto
niente. Io credo che il settore manifatturiero offra una via di
uscita. E non si tratta solo di una fiducia romantica nell’uomo
artigiano. E’ la storia del successo economico della Cina o del
Giappone. Si tratta di tornare a produrre cose, produrre cose di cui
altre persone hanno bisogno. E in questo senso in Italia voi avete un
sistema produttivo ad alta tecnologia che puo’ trovare una via di
uscita da questa situazione. L’ironia in Italia come altrove queste
imprese manifatturiere che fanno veramente profitto, che stanno sul
mercato ed impiegano molte persone ma sono proprio quelle che fanno
fatica ad ottenere credito. Questa e’ una dimostrazione palese della
follia del sistema.